Corriere 12.7.16
Fallimento dei Radicali
Il flop delle firme in Parlamento Solo 30 per dividere i quesiti
I capigruppo di FI: cambiare l’Italicum ma dopo il no alle riforme
di Giuseppe Alberto Falci
ROMA
Non decolla la raccolta dei Radicali per spacchettare il referendum
costituzionale. L’iniziativa nata da Riccardo Magi ad oggi è ferma a
trenta firme. Trenta deputati in maggioranza di Area popolare — fra
questi Fabrizio Cicchitto e Paola Binetti — e uno soltanto del Pd, che è
Franco Monaco.
Nonostante l’attivismo dei radicali e del vice
ministro Riccardo Nencini, altro promotore della raccolta, i
parlamentari non vogliono saperne e non intendono firmarlo. Oggi Magi
proverà a raccogliere le firme a Palazzo Madama ma anche qui i senatori —
se si escludono i rappresentanti di Area popolare, che hanno appunto
sposato la raccolta — non rispondono alla chiamata. E per i Radicali il
tempo stringe. Il termine ultimo per presentare la richiesta in
Cassazione sarà giovedì. Occorrono o 500 mila firme dei cittadini o 126
firme di deputati e 64 di senatori. Poi a quel punto una volta raggiunta
la cifra la parola passerà alla Corte costituzionale.
Tuttavia
Magi non si dà per vinto e proprio ieri ha provato a convincere Maria
Elena Boschi. In un incontro riservato la ministra delle Riforme si è
limitata a elogiare lo spirito dell’iniziativa ma «ha sostenuto che non è
una questione di cui si può fare e si farà promotore il governo».
Oltre Magi anche Nencini ci spera ancora: «Mi auguro che dal Pd provenga una benevola disattenzione».
Una
sponda governativa alle istanze dei Radicali arriva dal sottosegretario
agli Esteri Benedetto Della Vedova. In una nota Della Vedova afferma
che «anche per assenza di precedenti ritengo giusto consentire di
sottoporre alla Corte di Cassazione l’ipotesi di quesiti referendari
plurimi sui differenti aspetti della riforma e lasciare alla Consulta di
pronunciarsi sulla ammissibilità».
Ad ogni modo l’operazione
«spacchettamento» di fatto non ha conquistato le truppe parlamentari di
Matteo Renzi. Per il Pd il referendum costituzionale non si tocca. A
dirlo è stato il presidente dei senatori Luigi Zanda. Che in una
intervista all’ Huffington Post ha confermato in maniera chiara che «il
gruppo Pd al Senato non raccoglierà le firme». Perché, spiega Zanda,
«con più quesiti potrebbe raggiungersi un esito bizzarro: ad esempio, se
dividi la riforma in più parti può succedere che venga approvato il
nuovo Senato e bocciata la possibilità che a dare la fiducia sia una
sola Camera».
Sulla linea di Zanda il Pd è compatto non solo al
Senato ma anche a Montecitorio. Anche se cercano di evitare l’argomento
in Transatlantico più di un parlamentare dem si esprime in questi
termini: «Non esiste un ordine di scuderia però il respiro complessivo
del referendum si dà con un sì o con un no. Spiegare la riforma
costituzionale complessivamente è un conto, spiegarla in cinque quesiti è
un altro».
Intanto continua il dibattito sulla riapertura
dell’Italicum. I due capigruppo di Forza Italia Paolo Romani e Renato
Brunetta fanno sapere che le modifiche alle legge elettorale si potranno
fare «solo dopo la consultazione referendaria sulla Costituzione»