Repubblica 11.7.16
Referendum, si allontana lo spacchettamento Pd freddo, poche le firme
Tutti i dubbi in Cassazione e alla Consulta. L’impegno a decisioni rapide se saranno depositati più quesiti
di Goffredo De Marchis e Liana Milella
C’è tempo fino a giovedi per raccogliere le sottoscrizioni, i dem non intendono partecipare
Il
presidente del Consiglio Matteo Renzi alle prese con l’incognita
quesiti: uno o più di uno per il referendum costituzionale che si terrà
in autunno
ROMA. L’ipotesi spacchettamento dei quesiti
per il referendum costituzionale diventa sempre di più una chimera. Non
dire di no a niente e a nessuno - la nuova strategia di Matteo Renzi -,
aprire quindi alle proposte che arrivano dalla minoranza o dagli alleati
può essere insufficiente ad arrivare al risultato. Per colpa di fattori
esterni. Nella maggioranza sono convinti infatti che non ci sia lo
spazio per dividere in 5 (o in tre) la consultazione di autunno sulla
legge Boschi. Il problema va oltre i tempi strettissimi: giovedì è il
termine per consegnare la richiesta in Cassazione. Non sarebbe un
problema nemmeno la nuova raccolta di firme dei parlamentari che
costringerebbe il Partito democratico a smentire la precedente raccolta.
Una capriola difficile da spiegare. Gli scogli veri sono il via libera
della Cassazione e della Consulta. Non c’è alcuna certezza che sarebbero
così semplici da ottenere, ora che la macchina referendaria è in moto.
Anzi: si fa strada il convincimento che sorgerebbero degli intoppi
perchè, come dice il capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato, è
complicato «trovare la chiave per spacchettare il quesito in maniera
omogenea».
I consensi a favore della divisione in 5 della riforma,
così come proposto dai Radicali italiani, non mancano, anche se
occorrono 126 firme di deputati e 64 di senatori. Un fronte trasversale
pro-spacchettamento, con grande fatica, avrebbe la chance di raggiungere
la soglia. Ma l’aiuto del Pd appare indispensabile, considerato che
dalle opposizioni non arriveranno favori. Perchè spacchettare potrebbe
avere un effetto: rinviare la data del referendum, addirittura al 2017.
Ma qual è la posizione della Corte di Cassazione? E in caso di ricorso
ulteriore alla Consulta, i giudici costituzionali si prenderebbero tanto
tempo per decidere come avviene di solito? Oppure stringerebbero i
tempi per evitare polemiche.
In Cassazione, dove la decisione
spetta all’Ufficio centrale per il referendum, si respira un’aria
scettica. «Ne abbiamo già ammesso uno con un quesito unitario, adesso
possiamo solo aspettare venerdì, quando scadrà il termine per le
ulteriori richieste», dice una buona fonte del Palazzo. Ovviamente la
stessa fonte conferma che cambia tutto se a presentare le firme saranno
altri parlamentari o gli stessi che hanno già sottoscritto la richiesta
per il quesito unico. Perché in questo caso i supremi giudici si
troveranno di fronte «a un caso nuovo, quindi tutto da studiare».
Vediamo
quale sarebbe la novità. Non è mai accaduto che gli stessi parlamentari
possano diventare protagonisti di una doppia richiesta di referendum,
con caratteristiche sostanziali del tutto diverse. Nel primo caso — e
cioè per la richiesta di referendum che è già andata a buon fine e che
ipotizzava un unico quesito per tutta la legge Boschi-Renzi — i
richiedenti si sono espressi in un modo (quesito unico), mentre adesso
gli stessi richiedenti presenterebbero un quesito diverso, e cioè
spacchettato. «Ci imporrebbe di studiare a fondo la questione, per
capire se gli stessi parlamentari, in due momenti diversi, possono
presentare due richieste differenti». Come si pronuncerebbe la
Cassazione? «Proprio perché si tratta della prima volta, l’esito in
questo momento è imprevedibile ». Ma tra le toghe di piazza Cavour ce
n’è qualcuna che già adesso è pronta a ipotizzare un doppio no, a
partire proprio dall’ammissibilità del quesito dei parlamentari che
hanno cambiato idea.
Qualora la Corte — che ha tempo fino alla
metà di agosto per emettere il suo verdetto, ma che potrebbe anche
rispondere prima, addirittura in una decina di giorni, vista l’urgenza
della questione — dovesse accettare la bontà delle firme dei
parlamentari, resta poi il merito della decisione, che però a questo
punto diventa molto più complessa rispetto al quesito unico. La Corte ne
dovrà valutare la congruità e potrebbe anche spingersi a modificarli,
com’è avvenuto nel caso di referendum ordinari, ultimo quello sulle
trivelle. Un percorso dunque molto accidentato.
Ovviamente,
qualunque decisione venga presa, la parola passa ai richiedenti che,
insoddisfatti della decisione assunta, potrebbero sollevare un conflitto
di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Considerati i tempi
per preparare il ricorso, presentarlo, protocollarlo, la risposta della
Consulta potrebbe arrivare in autunno. Ma anche in questo caso potrebbe
intervenire un’accelerazione.