domenica 10 luglio 2016

Repubblica 10.7.16
Dallas, tra i vicini di casa del killer “Ha reagito all’odio contro di noi”
La rabbia degli amici di Micah: “Condanniamo l’omicidio dei 5 poliziotti, ma tra le forze dell’ordine c’è razzismo”
Dallas, tra i vicini di casa del killer “Ha reagito all’odio contro di noi”
di Alberto Flores d’Arcais

DALLAS  «Inutile che provate, non c’è più nessuno, la polizia ha portato via tutto». La casa su Helen Lane è a due piani, un ingresso a portico, grandi finestre su entrambi i lati e sembra proprio deserta. All’angolo con Lone Pecan Drive una Chevy, tipica auto-civetta da detective, è l’unico segno che qualcosa è accaduto in queste strade di Mesquite, ordinato sobborgo di classe operaia e piccola borghesia alle porte di Dallas. Qui, dopo nove mesi a combattere nell’inferno afgano, Micah Xavier Johnson era tornato a vivere insieme alla madre e al fratello; in queste stanze, rivoltate fino all’ultimo ripostiglio, gli uomini del Dallas Police Department hanno sequestrato un vero e proprio arsenale: fucili d’assalto, materiale per costruire esplosivi, giubbotti anti- proiettile, riviste di armi e di tattiche militari e anche una sorta di diario da combattimento personale.
«Era una brava persona, non so cosa glia sia passato per la testa». I vicini non sanno cosa dire, scuotono la testa, qualcuno sussurra «povera madre», altri rispondono con un infastidito «lasciateci in pace». Poche case più in là, nel piccolo praticello verde, si è radunata una piccola folla per il “garage sale”, le tipiche vendite di paccottiglie varie con le quali ogni week end, in ogni angolo degli States, ci si mette in tasca qualche manciata di dollari. «Era stato in Afghanistan, esattamente come io sono stato in Iraq», racconta Sam che di parlare ne ha voglia. «Chi non è stato a combattere in quei maledetti posti non può capire cosa ti porti dentro, uscirne non è facile, tornare a una vita normale complicato».
Adesso divide un taxi con un socio («devo ringraziare soprattutto mia moglie»), i tre anni di “giri all’inferno” non sono stati una scelta patriottica: «L’ho fatto per i miei tre figli, ho messo via i soldi per farli studiare in un college decente». Sam condanna l’uccisione dei poliziotti («sono vite umane anche le loro »), ma come altri in questo gruppetto di afro-americani ci tiene a sottolineare come «il razzismo dei poliziotti lo devi provare sulla tua pelle, poi ne parliamo». «Quanto valgono le nostre di vite, eh?», aggiunge un ragazzo che scandisce aggressivo «il mio nome non ha importanza, scrivi quello che ti ho detto». Sulla vecchia radiolina ancora in funzione (in vendita per 7 dollari) hanno appeno saputo che un nero è stato ucciso dalla polizia a Houston, l’altra grande metropoli del Texas, quattrocento chilometri più a sud: «Ora scattano le vendette, per noi sarà ancora peggio ».
Il giorno dopo, l’America che ragiona vuole capire cosa sia scattato nella testa di Micah, ragazzone innamorato di armi e guerra (si era arruolato appena finita l’High School), ma che una volta tornato a casa si era messo a lavorare per Touch of Kindness, accompagnando e aiutando ragazzini o adulti con problemi mentali. «Si offriva spesso volontario per le ore di straordinario, era un buon dipendente, mai un problema, si occupava anche del fratello minore», è il ricordo del suo ultimo datore di lavoro. Aveva iniziato nel gennaio 2015, sei mesi dopo essere stato “congedato con onore” dall’esercito (nonostante l’accusa di molestie sessuali di una donna-soldato, motivo per cui era stato fatto rientrare d’urgenza dall’Afghanistan), un lavoro che adesso che ogni singolo aspetto della sua vita viene spulciato appare quasi una copertura. O forse, più semplicemente, la scelta di un disadattato.
Voleva “uccidere i bianchi” e ci è riuscito. Nella sua pagina Facebook (ora chiusa) non erano pochi i riferimenti alle rivolte (e alle violenze) nere, due “like” per le New Black Panther e l’African American Defense League (due gruppi di militanti attivi sui social network ma con poco seguito reale). Ma era soprattutto il Huey P. Newton Gun Club ad avere colpito la sua immaginazione, uno di quei tanti gruppi armati (come Black Against Racist Cops, Guerrilla Mainframe, Black Riders Liberation Party) che si sono moltiplicati dopo i fatti di Ferguson (agosto 2014, quando venne ucciso Michael Brown) e le successive rivolte a sfondo razziale. Da mesi ogni sabato mattina, armi in pugno, maschere in volto e keffiah sul capo, i miliziani di questo Club che predica violenza, sfilano nelle strade e nei parchi di Dallas. Ieri si sono tenuti alla larga, ma il loro leader Babu Omowale si è prestato volentieri ai taccuini dei reporter: «Non appoggiamo quanto fatto da Micah, ma non lo condanniamo. Noi possiamo capirlo». In vista dell’agguato di giovedì sera, preparato con cura, Micah si era allenato per mesi in palestra. Era anche un fan di Richard Griffin (alias Professor Griff), teorico dell’Afrocentrismo, e autore di un libro (A Warrior’s Tapestry) che il pluriomicida aveva esaltato su Facebook postando anche una foto che li ritraeva assieme. Nella Dallas del giorno dopo, tra accuse, polemiche, dolori e qualche ipocrisia, c’è un uomo che più di tutti merita il plauso per disponibilità e sangue freddo. David Brown, il capo della polizia, volto ormai noto (grazie ai network tv) in ogni angolo d’America è una storia nella storia. Non perché David è nero e i suoi cinque uomini uccisi erano bianchi, non perché da anni guidava la polizia della metropoli texana cercando di ridurre ogni possibile tensione razziale, ma per un episodio che risale a sei anni fa e che lo coinvolse direttamente come padre. Era il giugno 2010 e David Brown Jr. (suo figlio aveva lo stesso suo nome), ragazzo bipolare e sotto l’effetto di droghe, era stato ferito a morte durante uno scontro a fuoco con la polizia, dopo che aveva a sua volta ucciso un poliziotto e un altro uomo innocente, la cui unica colpa fin quella di averlo incrociato in auto mentre stava rientrando a casa. Dopo aver picchiato la sua compagna David Jr. se ne andava in giro armato, con la droga in corpo e aveva poi sparato anche contro un agente. Quel giorno si celebrava la festa del papà e David Sr., capo della polizia da meno di due mesi, si trovò di fronte a una doppia tragedia. Adesso ne sta affrontando un’altra.