sabato 9 luglio 2016

La Stampa 9.7.16
Referendum, dopo il vertice al Quirinale
“spacchettare” non è più una parolaccia
di Ugo Magri

Tra Camera e Senato è iniziata una raccolta di firme che sarebbe forse annegata nel silenzio se, due giorni fa, Mattarella e Renzi non ne avessero ragionato insieme. L’indiscrezione è filtrata all’esterno, e subito si sono accesi i riflettori sull’iniziativa, promossa dai Radicali, che mira a «spacchettare» il referendum costituzionale. Come suggerisce la parola (orrenda), lo spacchettamento consiste nell’aprire la scatola referendaria e guardare cosa c’è dentro. Contiene la riduzione dei parlamentari, la fine del Senato attuale, un nuovo equilibrio Stato-Regioni: questioni piuttosto diverse tra loro. La tesi dei firmatari è che non sarebbe onesto votarle in blocco, tipo prendere o lasciare. Si dovrebbe invece sottoporre al popolo 4-5 quesiti più specifici, lasciando gli elettori liberi di scegliere ciò che vogliono. La raccolta di firme serve a sottoporre i quesiti all’Ufficio centrale del referendum, presso la Cassazione. Il termine scade giovedì: servirebbero 126 sottoscrizioni alla Camera, 64 a Palazzo Madama. Per ora i firmatari sono una ventina (ieri si è aggiunto il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova). Riccardo Magi, segretario dei Radicali italiani, lancia un appello «trasversale, aperto, rivolto a tutti». Si augura che i grandi partiti lascino i «peones» liberi di firmare. Dopodiché i quesiti del referendum «spacchettato» verrebbero depositati in Cassazione. E qualora l’ufficio centrale dovesse bocciarli in base alla legge del 1970 (che non prevede questa possibilità), i promotori dell’iniziativa farebbero ricorso alla Corte costituzionale con un conflitto di attribuzioni.
La strada del ricorso è stata suggerita indirettamente da Giuliano Amato, che della Consulta fa parte, in una intervista a Radio radicale. Non è affatto sicuro che la Corte approverebbe lo «spacchettamento», ma tutto è possibile.
L’effetto sarebbe quello di «depoliticizzare» il referendum. Si voterebbe sui contenuti e non per sostenere o abbattere Renzi. Il quale, quando si sentiva sicuro del fatto suo, era contrarissimo all’idea. Ma con Mattarella l’altro ieri è stato un filo più possibilista: segno che regna una grande incertezza sul risultato. Viceversa i grillini, che qualche mese fa erano pronti a discutere lo «spacchettamento», ora non vogliono lasciarsi sfuggire la chance di far cadere il governo, dunque si battono per un «no» all’intera legge, in modo che Renzi poi se ne vada a casa. La stessa identica filosofia ispira Forza Italia. Per Brunetta, «spacchettare» il referendum è «giuridicamente, politicamente, costituzionalmente impossibile». Non a caso, nel 2006 la riforma berlusconiana venne votata (e bocciata) in blocco.
Nel confronto nobile delle idee, i fautori dello «spacchettamento» alzano la bandiera della libertà di voto, «ognuno deve poter scegliere davvero», sostiene Magi. I contrari teorizzano invece che una riforma della Costituzione va valutata nel suo insieme.
Stefano Ceccanti, giurista vicino al Pd, è categorico: «Un testo votato come unico per 6 volte dalle Camere non può che essere votato come unico al passaggio popolare». Su piano pratico, tuttavia, lo «spacchettamento» potrebbe svelenire il clima. Soprattutto consentirebbe a Renzi, tra un ricorso e l’altro davanti alla Consulta, di guadagnare qualche mese prezioso. Come si regolerà dunque il Pd? Consentirà a deputati e senatori di firmare? Per ora, specie alla Camera, l’orientamento è nettamente contrario. Ma per raccogliere le firme basterebbe una mezza giornata. E fino a giovedì, tutto può ancora succedere.