Il Sole 9.7.16
Quella via che fa slittare il referendum
di Donatella Stasio
Ma
davvero andremo a votare a ottobre per il referendum costituzionale? La
data è ancora incerta. La finestra del possibile voto va da ottobre a
Natale, se non a gennaio del 2017. Ma potrebbe essere ancora più ampia
con l’entrata in scena dello spacchettamento del quesito, qualora la
decisione dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione
venisse impugnata dai richiedenti con un conflitto di attribuzioni
davanti alla Consulta contro la Cassazione. Si potrebbe arrivare
addirittura a ridosso della fine della legislatura. Lo spacchettamento,
insomma, potrebbe diventare il grimaldello per prendere tempo e
allontanare il responso delle urne su una riforma che sembra diventata
politicamente ingombrante.
Lo scenario, dunque, è ancora
magmatico. Partiamo dallo stato dell’arte. Il 6 maggio scorso la
Cassazione ha ammesso quattro richieste di referendum, presentate,
ciascuna, da un quinto di deputati e di senatori sia della maggioranza
che del’opposizione e perciò ha dichiarato la legittimità del seguente
quesito referendario: «Approvate il testo della legge costituzionale
concernente “Disposizioni per il superamento del bicameralismo
paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei
costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la
revisione del titolo V della parte II della Costituzione” approvato dal
Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile
2016?». Quesito unico, quindi.
L’ordinanza della Corte è stata
«comunicata immediatamente», fra gli altri, al Presidente della
Repubblica e al Presidente del Consiglio dei ministri poiché spetta al
primo, «entro 60 giorni dalla comunicazione», indire il referendum, su
deliberazione del Consiglio dei ministri. Tuttavia, la decorrenza dei 60
giorni slitta al 15 luglio, cioè alla scadenza di tre mesi dalla
pubblicazione della riforma costituzionale in Gazzetta, entro i quali
possono essere presentate altre richieste di referendum, oltre che da un
quinto dei membri di ciascuna Camera anche da 500mila elettori e da 5
Consigli regionali. Una volta indetto il referendum con decreto del Capo
dello Stato, la data del voto è fissata «in una domenica compresa tra
il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di
indizione».
Allo stato, in Cassazione sono arrivati soltanto dei
“preannunci” di richieste referendarie, da due Comitati per il no e dai
Radicali, non ancora supportate dalle firme necessarie. I primi due
propongono un quesito unico, i Radicali, invece, lo spacchettamento, per
cui dovranno presentare 500mila firme per ciascun quesito. E il
traguardo sembra lontano, tanto più che manca una settimana al 15
luglio. Entro questa data, peraltro, dovranno essere presentate anche le
eventuali ulteriori richieste di spacchettamento di un quinto dei
deputati e/o dei senatori. Vedremo se nella prossima settimana ciò
accadrà.
Scaduto il termine, l’Ufficio centrale per il referendum
(composto da 23 giudici della Cassazione) avrà 30 giorni per decidere
sulle nuove richieste, comprese quelle sullo spacchettamento del
quesito. A quel punto, quindi, si aprono almeno tre scenari.
Il
primo è che non arrivino le firme necessarie ai due Comitati e ai
Radicali né quelle di un quinto di deputati e senatori favorevoli allo
spacchettamento. In tal caso, partono i 60 giorni per indire il
referendum. Il che potrebbe avvenire a tambur battente o con comodo: la
tempistica sarà una decisione politica, perché prima dovrà riunirsi il
governo per deliberare e poi la palla passerà al Quirinale. Quindi, il
decreto potrebbe essere emanato nel giro di una settimana (già a fine
luglio) o successivamente, purché entro il 13 settembre. Quanto alla
data del voto, non potrà essere fissata prima di 50 giorni dal decreto
né oltre i 70. Vale a dire, a partire da ottobre e fino a Natale.
Il
secondo scenario è che arrivino tutte le firme necessarie, anche quelle
dei parlamentari, per cui la Corte avrà 30 giorni per pronunciarsi,
entro il 15 agosto. Se dovesse considerare legittimo il quesito
spacchettato, i termini di cui sopra subirebbero uno slittamento di un
mese, mentre rimarrebbero invariati in caso di bocciatura. In entrambi i
casi, però, potrebbero essere sospesi (e questo è il terzo scenario),
se i richiedenti decidessero di ricorrere alla Corte costituzionale con
un conflitto di attribuzioni contro la pronuncia della Cassazione. Al di
là della fondatezza giuridica del ricorso, sarebbe un modo per
procrastinare l’indizione e la data del voto della consultazione
popolare, perché bisognerebbe attendere il verdetto della Consulta. Che
arriverebbe non prima di febbraio/marzo del 2017.
Si tratta,
ovviamente, di uno scenario ipotetico - di cui, però, si vocifera da
tempo - determinato essenzialmente da ragioni politiche. Uno scenario in
cui il referendum potrebbe slittare addirittura alla primavera/estate
dell’anno prossimo, cioè pochi mesi prima della scadenza della
legislatura (febbraio 2018) e, quindi, a un passo dalle prossime
elezioni politiche.