Il Sole 9.7.16
La consultazione sulle riforme. Cresce il
consenso all’iniziativa dei Radicali contro il quesito unico che
favorisce anche il confronto sulla legge elettorale
Referendum, avanza l’ipotesi spacchettamento
di Barbara Fiammeri
Ufficialmente
la raccolta delle firme non è ancora partita. Ma cresce in Parlamento
il vento a favore del cosiddetto spacchettamento del referendum
costituzionale parallelamente alle aperture sulla modifica
dell’Italicum. Non è ovviamente una coincidenza. Riforma costituzionale e
nuova legge elettorale sono indissolubilmente legate, visto che
l’Italicum è stato pensato per la sola Camera dei deputati, dando per
scontata di fatto l’abolizione del bicameralismo perfetto. «Come abbiamo
già detto, noi restiamo aperti al confronto, ma solo su ipotesi
concrete che abbiano una base solida a livello numerico», ha detto ieri
il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini con riferimento alla possibile
modifica dell’Italicum. Un’apertura che va letta anche in relazione alle
forti fibrillazioni interne ai centristi di Angelino Alfano, legate
anche e soprattutto all’attuale legge elettorale, e che certamente
risponde anche alle richieste avanzate ripetutamente dalla minoranza del
Pd. Non solo. Sulla modifica dell’Italicum forte è anche l’interesse di
Silvio Berlusconi.
Guerini dice che Italicum e riforma
costituzionale vanno tenuti distinti perché altrimenti «si rischia di
confondere gli elettori». Ma la disponibilità al confronto presuppone
tempo. E se si vuole mettere mano all’Italicum, è difficilissimo
riuscire nell’intento alle porte dell’estate e con un autunno occupato
dalla sessione di Bilancio e dalla campagna referendaria. Ecco allora
che entra in gioco lo spacchettamento. L’ipotesi che sulla riforma del
Senato e del titolo V gli elettori siano chiamati a pronunciarsi su più
quesiti si manifesterà nei primi giorni della prossima settimana. I
tempi sono infatti strettissimi visto che la richiesta va presentata
alla Corte di Cassazione entro il 15 luglio e servono le firme di un
quinto dei deputati (126) o dei senatori (66). Ma è un’impresa
tutt’altro che impossibile anche perché se fino a qualche settimana fa a
chiedere lo spacchettamento erano, oltre ai Radicali, quasi
esclusivamente le opposizioni e la sinistra Pd, adesso l’interesse è
cresciuto anche nella maggioranza. E non solo per ragioni di merito ma
anche di tempistica. La richiesta di spacchettamento molto probabilmente
porterà a un conflitto di attribuzione da risolvere davanti alla
Consulta. La data di «ottobre o al massimo il 6 novembre» indicata da
Palazzo Chigi per svolgere il referendum diventerebbe così impraticabile
e sarebbe pressoché scontato che sulla riforma costituzionale si voterà
nel 2017.
Renzi finora ha sempre perorato la strada del quesito
unico, e il Pd sta completando su questo la raccolta delle firme da
presentare in Cassazione. Ma negli ultimi giorni ha lasciato filtrare
che qualora si decidesse diversamente ne prenderà atto. Insomma, il
premier non è intenzionato a fare una battaglia campale sul numero di
schede. Anche perché sarebbe un modo per «depoliticizzare» - come
sostiene il capogruppo di Ap Maurizio Lupi - il referendum e anche i
risultati.
«Cresce l’attenzione anche oltre confine per il
referendum. Dopo che i britannici hanno votato per la Brexit e accortisi
di ciò che hanno fatto, cercano di inventarsi qualche soluzione di
ripiego, i commentatori internazionali mettono nel mirino il referendum
del nostro Paese. Si sottolineano i rischi di un’eventuale vittoria del
No» ma - scrive il premier nella sua E-news - «non vinceremo questo
referendum evocando la paura del No».
Sullo spacchettamento i più
attivi sono i centristi che puntano alla revisione dell’Italicum. Ma di
ora in ora aumenta il drappello dei favorevoli. Il Pd non fa parte della
partita. «È un’ipotesi che non ha alcun senso», twitta Stefano
Ceccanti. Questo però non significa che singoli deputati possano
partecipare all’iniziativa. E non è da escludere che un sostegno arrivi
anche dall’opposizione nonostante la risposta tranchant del capogruppo
alla Camera di Fi Renato Brunetta («No a consultazione spezzatino»). I 5
stelle con Danilo Toninelli, capogruppo in commissione Affari
costituzionali e referente principale di Grillo sulle riforme, prima
delle amministrative si spendeva a favore dello spacchettamento «per
permettere ai cittadini di conoscere quale argomento stanno andando a
votare». È probabile che ora, dopo i risultati elettorali e le
difficoltà emerse nella maggioranza, cambieranno idea.
Il rinvio
al 2017 del referendum avrebbe infatti un’altra conseguenza rilevante:
impedirebbe la nascita del cosiddetto governo di scopo. «Dopo Renzi non
c’è altra possibilità che le elezioni», diceva ieri il capogruppo dem al
Senato Luigi Zanda. Ma come deve aver compreso Renzi dopo il colloquio
giovedì con il Capo dello Stato, l’eventuale vittoria del «no» a ottobre
e le sue scontate dimissioni da premier, con la sessione di Bilancio
aperta e le più che probabili reazioni dei mercati e per di più con due
sistemi elettorali (Italicum alla Camera e Consultellum al Senato), non
consentirebbero un immediato ritorno al voto. Un’ipotesi che invece
diventerebbe percorribile se il verdetto arrivasse nella primavera del
2017, a legislatura quasi scaduta.