sabato 9 luglio 2016

La Stampa 9.7.16
Renzi spera nell’assist della Corte Costituzionale
I giudici della Consulta potrebbero cambiare l’Italicum permettendo al premier di riaprire i giochi con gli alleati
di Fabio Martini

Quell’idea di spacchettare il quesito del referendum istituzionale non era mai piaciuta a Matteo Renzi per una ragione personale: moltiplicando le domande nella scheda elettorale, sarebbe finito l’effetto-plebiscito, che tanto stava a cuore al presidente del Consiglio, quel sì o no al leader ancor prima che alla riforma. Ma ora che il risultato del plebiscito di autunno è diventato estremamente incerto, Renzi sta esplorando le strade che possano eventualmente portare a dividere il quesito in più punti, depotenziando l’effetto-plebiscito. Tanto è vero che della questione si è parlato due giorni fa nell’incontro con il Capo dello Stato Sergio Mattarella al Quirinale. A palazzo Chigi nessuna decisione al riguardo è stata presa, anzi prevale in Renzi una realistica presa d’atto delle corpose difficoltà normative, anche per il ritardo col quale è stata accarezzata l’ipotesi. Ma in Italia si sa: non è mai troppo tardi.

Vicenda esemplare quella dello spacchettamento, perché nel «mondo di Renzi» da una settimana tutto si è rimesso in movimento, solide certezze sono state ridiscusse, a cominciare dalla più rassicurante di tutte: il rettilineo percorso verso le elezioni del 2018. Prima di partire (di buon umore, raccontano) per il vertice Nato di Varsavia, nelle ultime 78 ore, Renzi ha cambiato tattiche e strategie su diversi quadranti: elezioni anticipate, data per il referendum, possibili cambiamenti alla legge elettorale. Di regola indifferente alle istanze dei suoi alleati - in due anni e mezzo Renzi non ha mai pronuncito la parola coalizione riferendosi alla sua maggioranza - due giorni fa il presidente del Consiglio è stato costretto ad accertarsi con Angelino Alfano sulla tenuta dell’Ncd e una volta rassicurato sulle intenzioni dei 6-7 senatori frondisti, ha potuto a sua volta assicurare il Capo dello Stato Mattarella: «Giovedì prossimo sul ddl enti locali nessun problema di tenuta».
E proprio il referendum, per Renzi, è la cosa che conta più di ogni altra. Il primo traguardo verrà superato con successo giovedì, quando il Comitato per il sì presenterà alla Corte di Cassazione cinquecentomila firme di cittadini, la modalità più «democratica» tra quelle previste dalla Costituzione per chiedere un referendum confermativo.
E proprio nell’incontro con Mattarella sono emerse due novità. Il Capo dello Stato ha ricordato che il referendum istituzionale si svolgerà comunque nella data fissata, perché a differenza di quelli abrogativi, quelli confermativi non vengono rinviati in presenza di scioglimenti anticipati delle Camere. E d’altra parte la data del referendum resta ancora oggi «ballerina». Una vicenda tutta politica ma nella quale si condensano alcuni dati «caratteriali» di Renzi. Il primo è la tendenza del presidente del Consiglio a prendere tutte le scelte all’ultimo momento utile: per insicurezza? Per tenersi aperte tutte le strade possibili? Sta di fatto che Renzi ha curiosamente ripetuto in questi giorni che non spetta al governo fissare la data del referendum. In realtà la scelta spetta proprio al presidente del Consiglio che potrà decidere, con un margine di oscillazione di alcune settimane.
Ma anche su questa scelta incide un altro problema «caratteriale» di Renzi: quello di non apparire mai come uno che cambia idea, o che ci ripensa. Dopo aver auspicato pubblicamente la data del «due ottobre», ora il presidente del Consiglio ha fatto trapelare che nell’incontro con Mattarella, si sarebbe presa in esame la data del 6 novembre, uno slittamento progressivo verso quelle che a palazzo Chigi sono ritenute le date migliori: 13, 20 o 27 novembre. Date che Renzi potrà scegliere, senza interpretazioni o forzature della legge. Ma se si voterà a novembre, a quel punto la Corte Costituzionale (convocata il 4 ottobre) dovrebbe aver deciso sulla costituzionalità dell’Italicum. Una eventuale bocciatura da parte della Corte (si sussurra su capilista e premio di maggioranza, con previsioni già «condannate» dalla Consulta), consentirebbe al governo di riaprire i giochi sulla legge elettorale con la minoranza Pd e con le formazioni centriste.