La Stampa 8.7.16
Neurodemocrazia
Perché il cervello è di destra o di sinistra
Nuove tendenze dagli Stati Uniti
di Massimiliano Panarari
E
se il libero arbitrio non valesse nel voto? Se le nostre preferenze
elettorali fossero davvero scritte nel dna, secoli di dibattiti sulla
democrazia verrebbero buttati alle ortiche, e l’intera teoria della
scelta razionale in politica finirebbe in soffitta.
Certo è che,
comunque la si pensi (da «apocalittici» o da entusiastici
neuro-darwinisti), siamo in presenza di un filone di studi affascinanti –
ancorché piuttosto deterministici (o perfino «inquietanti»), e tuttora
lontani dalla meta prefissata. Come per quasi tutte le frontiere, la
partita si svolge negli Stati Uniti, dove le neuroscienze e le scienze
cognitive applicate alla politica (per certi versi, eredi
tecnologicamente avanzate del behaviorismo) hanno acquistato in questi
anni una rilevanza crescente nel dibattito pubblico. E, oggi, a
rilanciare la discussione anche in Italia ci pensano alcuni nuovi libri,
a distanza di qualche anno dal successo del volume di George Lakoff Non
pensare all’elefante (Fusi orari, 2006), in cui si sottolineava
l’importanza per la conquista del consenso di un linguaggio capace di
ridefinire l’immaginario e l’agenda politica.
E, allora,
«destinazione: cervello», alla ricerca di dati empirici che
permetterebbero (il condizionale è d’obbligo…) di stabilire l’esistenza
di correlazioni tra i comportamenti elettorali (o la predisposizione
verso una certa parte politica) e tutta una serie di fattori biologici e
neuronali. La «neuropolitica» made in Usa afferma che certi tratti
della personalità del leader funzionano meglio a destra (il modello del
«padre forte e severo» e l’energia decisionista) oppure a sinistra
(l’apertura verso il nuovo e l’«amicalità»). Qualche anno fa,
l’University College of London (2011) ha cercato di dimostrare,
studiando amidgala e corteccia cerebrale, che la paura fa andare i
cittadini-elettori a destra, mentre l’Università del South Carolina
(2012) ha tentato di certificare via neuroni specchio il fatto che
progressisti e conservatori sviluppano i legami sociali in maniera
diversa (più estesi e «leggeri» i primi; più ristretti e «rocciosi» i
secondi). Ed ecco perché il «neuromarketing», insieme ai Big Data, è
entrato di slancio nel campaigning delle presidenziali americane, mentre
David Cameron, subito dopo la vittoria del 2010, aveva ingaggiato
proprio alcuni neuroscienziati tra i suoi consiglieri.
Neoliberismo
allo stato puro, sostiene il pensatore radical Byung-Chul Han nel suo
ultimo pamphlet, contro la Psicopolitica (Nottetempo, pp. 112, euro 12).
Questi studi non ci dicono ancora – e là puntano, infatti... – se si
nasce di destra o di sinistra, ma ribadiscono quanto la «mente politica»
(come l’ha chiamata lo psicologo e spin doctor Drew Westen) abbia a che
fare con le emozioni e l’irrazionalità – un tema affrontato dal
filosofo politico (e assessore all’Innovazione del Comune di Udine)
Gabriele Giacomini in Psicodemocrazia (Mimesis, pp. 206, euro 18). Si
potrebbe ritoccare il famoso slogan della Dc del 1948: nel segreto
dell’urna, «Dio – e la neuroscienza – ti vede, Stalin no!». È la
neuropolitica, bellezza!