giovedì 7 luglio 2016

La Stampa 7.7.16
La controriforma di D’Alema fa discutere i costituzionalisti
Pace: giusto salvare il Senato. Cassese: impossibile cambiare in 6 mesi
di Alessandro Di Matteo

Il «piano B» di Massimo D’Alema in caso di sconfitta di Matteo Renzi al referendum di ottobre divide i costituzionalisti, e la demarcazione segue la divisione tra fautori del no e sostenitori del sì. La proposta «in tre punti» che l’ex premier ha illustrato alla Stampa viene bocciata senza appello dai professori favorevoli alla riforma mentre trova più ascolto nel fronte del no, seppure con qualche distinguo. Per D’Alema, in caso di sconfitta Renzi non dovrebbe dimettersi e, in ogni caso, dopo bisognerebbe procedere ad una riforma di «tre articoli» da approvare in «sei mesi»: un taglio di 200 deputati e 100 senatori, rapporto di fiducia limitato alla sola Camera, costituzione di una sorta di «commissione di conciliazione» per sveltire l’iter legislativo.
Ugo De Siervo, tra i firmatari di un appello per il no al referendum di ottobre, condivide soprattutto l’idea che la vittoria del no non significhi necessariamente lo stop del percorso di riforme: «Anche se al referendum vince il no non succede niente di speciale». Mattarella potrà benissimo «formare un altro governo» che abbia in agenda «modifiche della Costituzione puntuali e precise». Nel merito poi si valuterà, «perché non si può disegnare un altro bicameralismo su due piedi». La commissione di conciliazione è un’ipotesi anche se «i ritardi legislativi non dipendono dal bicameralismo, ma dal fatto che le forze politiche usano il bicameralismo per non decidere…».
Alessandro Pace, presidente del comitato per il no, si dice «pienamente d’accordo sull’idea di conservare il Senato» e di lasciare che sia la sola Camera a dare la fiducia al Governo, ma ritiene «arzigogolata» l’idea di una commissione di conciliazione: «Con tutto il rispetto per D’Alema, che stimo, meglio allora la navetta tra i due rami del Parlamento». Anche i 6 mesi per fare la riforma sono ritenuti un po’ troppo stretti, «mi sembra che ci sia bisogno di qualcosa di più…». Il punto vero, aggiunge, è che il Senato deve essere eletto direttamente».
Articolato il giudizio di Valerio Onida, pure schierato per il no al referendum: «La riduzione del numero dei parlamentari non è certo un tema centrale: c’è molta demagogia. L’idea della commissione di conciliazione può essere giusta, esiste anche in Germania. Ma il punto chiave è capire se il Senato diventa davvero rappresentativo delle autonomie territoriali oppure no». Soprattutto, «si dovrebbe far passare l’idea che le riforme della Costituzione si fanno una per volta». Infine, per Onida sei mesi possono bastare, «i tempi di riforme singole possono essere anche brevi, come tante volte si è dimostrato».
Idea che non condivide affatto Carlo Fusaro, sostenitore del sì: «Sei mesi? E chi ci crede? D’Alema ha guidato una bicamerale e non ci è riuscito in più di un anno a fare la riforma. Non si capisce per quale miracolo ora si dovrebbe fare in sei mesi». Fusaro non entra nemmeno nel merito delle proposte, «non discuto di fanta-Costituzione…».
Simile il giudizio di Sabino Cassese: «Certo, facciamo un’altra riforma in 6 mesi e… 40 anni. Dalla commissione Bozzi (la prima bicamerale che tentò una riforma della Costituzione, ndr) sono passati più di 40 anni. Io sono dell’opinione di Giorgio Napolitano, se non si fa la riforma adesso, non si fa più». L’idea della commissione di conciliazione «può anche funzionare, ma forse non servirebbe nemmeno una legge costituzionale». Per il resto, le idee di D’Alema significano di fatto «un rinvio della riforma».
Per Stefano Ceccanti, infine, «in tutti i sistemi con rapporto di fiducia non solo la prima Camera ha l’esclusiva del rapporto fiduciario ma ha anche, conseguentemente, l’ultima parola sulla gran parte delle leggi. Rifarsi al Parlamento americano, che non ha rapporto fiduciario, significa confondere pere con mele». Ma, soprattutto, per Ceccanti «se vince il no al referendum si andrà a votare».