giovedì 7 luglio 2016

La Stampa 7.7.16
Uranio, petrolio e sviluppo
La nuova corsa di Parigi alla conquista dell’Africa
I soldati vegliano sui terroristi mentre le imprese fanno affari
Dal Ciad al Niger fino alla Costa d’Avorio rinasce la Françafrique
di Domenico Quirico

Il Francese sedeva sulla balconata dell’albergo nel centro di N’Djamena, in pantaloncini corti, le ginocchia rosa e senza peli contro la ringhiera di ferro. Era venerdì e il muezzin chiamava da tutte le moschee alla preghiera con lo stesso messaggio registrato.
Attorno alla piscina le ragazze nere con indosso costumi succinti si dedicavano alla interminabile impresa di stirarsi i capelli. Il colorito pallido e la mancanza di interesse per le ragazze indicavano che il Francese era appena arrivato in Ciad. Sotto gli alberi del giardino sfilavano gli espatriati e qualche «évoluée», in costume da bagno e con le mogli in abiti sgargianti senza suscitare in lui alcuna attenzione.
Era una di quelle persone di cui non ci si ricorda mai. Anche adesso non saprei descriverlo, era corpulento e aveva una risata esagerata. Diceva di chiamarsi Victor. Ci sono uomini il cui cognome non è mai pronunciato.
Revival colonialista
La prima volta che l’avevo incontrato mi aveva detto di essere in Ciad «per affari». «Import export. Sono un rappresentante di commercio, diciamo, un po’ esotico», aveva aggiunto con un sorriso malizioso. Poi un’ora dopo notai che gli ufficiali del contingente francese arrivati in albergo dalla vicina base per una festa con i colleghi ciadiani scattavano sull’attenti: davanti a lui, in bermuda, che li trattava con distratta degnazione. C’era uno strano cameratismo nei movimenti di quegli uomini, come se fossero resi tutti eguali dal fatto che erano impegnati in un compito che avevano già eseguito insieme in tempi immemorabili. Un dignitario dell’Administration in trasferta o uomo dei Servizi o, ancor più probabile, un «barbouze» come se ne trovano tanti confortevolmente insabbiati nei vecchi territori dell’impero.
Ah, il perenne revival colonialista della «Francafrique!». Non c’è inquilino dell’Eliseo che non ne abbia proclamato la definitiva tumulazione; semplicemente si aggiorna, si africanizza di facciata, ma non si sbullona mai.
Il Francese diceva sull’Africa cose non banali, e provava un piacere evidente a sorprendere l’interlocutore con paradossi.
«L’Africa ormai è il tam tam e il telefono satellitare, la capanna di paglia e il grattacielo, il capotribù sanguinario e il presidente democratico. Bisogna tener conto di tutto e del suo contrario, il mondo si è complicato e si deve essere cauti. Altrimenti arrivano i semplificatori radicali come i jihadisti. Noi abbiano una certa esperienza quaggiù ma alla fine quello che conta sono due cose e questo gli islamisti lo hanno capito benissimo: chi ha la forza e chi ha il denaro. Noi francesi non abbiamo più il denaro, ma siamo stati prudenti: abbiamo conservato la forza, almeno qui».
Eppure i cinesi sembrano impegnati con successo a soppiantarvi. Vedo nascere nei suoi occhi una lunga catena di pensieri: «La Cinafrique, già, quante esagerazioni! Sì, sì comprano petrolio e legname, costruiscono autostrade che si sfasciano alla prima stagione delle piogge ma gli africani son contenti perché pensano di aver fatto comunque un dispetto ai vecchi colonizzatori. Poverini. E poi riempiono di pentole i mercati dei pezzenti. I minerali e i governi, quelli, li abbiamo sempre in mano noi francesi. Perché al contrario dei cinesi abbiamo la forza. Ha costeggiato la base militare qui nella capitale? Una città nella città, impressionante vero? Ecco i cinesi non hanno la Legione. Qui in Africa vuol dire ancora molto, anzi è il fattore decisivo. E dunque: allons enfants».
I capi di Stato in disgrazia
Mi viene in mente, ascoltandolo, la triste fine di alcuni capi di Stato africani che hanno tentato di giocare la carta dei cinesi contro i francesi per far alzare un po’ i prezzi, per monetizzare il loro valore di alleati. Laurent Gbagbo cacicco della Costa d’Avorio, il Paese del cacao, arruffapopolo pittoresco, ex socio delle redditizie immondizie della Francafrique, sta intristito davanti al tribunale internazionale per crimini di guerra, lui che aveva sillabato il socialismo ai tavolini della Rive Gauche e inventato la formula «l’Africa è il 1789 in presenza di Amnesty international. Nientemeno! ».
E François Bozizé, ex presidente del Centrafrica, che triste fine. Eppure l’aveva ben servita la République fucina di idee generose ma, ahimè, anche di interessi sudici. Si fidava, Bozizé, pensava bastasse l’obbedienza al padrone. Lo hanno lasciato cadere sotto i colpi dei suoi nemici come un frutto marcio.
E Mamadou Tanja, un fedelissimo dai modi grifagni? Chi lo ricorda? Aveva disturbato le certezze di Areva che estrae l’uranio del suo Niger in accomodato monopolio.
La dominazione francese è come un iceberg, ne affiora appena la punta ovvero la retorica: la Francia miglior amica dell’Africa, la francofonia, la patria dei diritti umani. Il resto è sommerso ed è la Mafiafrique, tutta una questione di reti di controllo: c’è quella di Total che veglia sul petrolio e l’energia, quella di Bolloré che si occupa di comunicazioni e trasporti, e poi Bouygues, servizi pubblici e drenaggio degli aiuti allo sviluppo. E le logge massoniche, di cui molti capi di Stato africani sono componenti.
Visto da qui, il neocolonialismo in salsa gauchiste appare più vispo che mai, anzi impegnato nell’ennesimo aggiornamento e trasformazione. Che riguarda anche noi europei. Certo. Il copione sarà sempre quello: despoti locali che fanno finta di governare, dedicandosi con passione alle bustarelle. Per il resto Parigi continuerà a decidere con la potenza del pugno sinistro o con la potenza della mano destra. Nell’epoca delle telluriche guerre sante e delle migrazioni occorre un maquillage. Per questo Parigi si interessa così direttamente della Libia: è la miccia che può incendiare tutto il cortile africano di casa.
Le elezioni truccate
E poi saranno i telefonini o Internet (si provvede comunque a limitarne il pestifero effetto lasciando la maggior parte delle ex colonie senza elettricità), ma le plebi si son fatte impazienti. Le elezioni truccate e scenografiche non bastano più, bisogna regalare un po’ di sviluppo. Come fare senza soldi in cassa? L’unico modo è far pagare la fattura all’Unione europea. Insomma il colonialismo senza le spese. L’Africa saheliana e francese, grande produttrice di migranti, sarà la destinataria del piano «aiutare gli africani in Africa, perché non partano più». Gli europei donatori di buona volontà e miopi rovesceranno denaro «per lo sviluppo», si intende: questo finirà in gran parte nei conti in banca dei soliti proconsoli di Parigi specializzati in finte elezioni e autentici dispotismi, che ne trarranno nuovi motivi di affezione all’Exagone, le imprese francesi continueranno a sfruttare i minerali, le truppe veglieranno sull’ordine e contro il terrorismo.
Ahmadou Kourouma è un intellettuale mauritano. Sulla strada che porta al mare c’erano sedie e tavolini e le cucinette portatili ardevano e friggevano, ma il quartiere in cui vive è un’altra città dove al calar del sole il lavoro invece di finire sembra cominci. Ho trovato la sua casa con difficoltà, attraverso strani mucchi di rottami accumulati: quasi figure di Picasso. Anche la scala interna era fiancheggiata da rottami e scarti che un giorno o l’altro sarebbero potuti tornare utili. Ahmadou è infuriato con la Francia: «Perché dovrei amarla? Nel mio Paese esiste ancora la schiavitù, i francesi lo sanno ma fanno finta di nulla. Lei ricorda Fanon: “Il negro e l’altro… i dannati della terra…?” Anni 60, la decolonizzazione, parole magnifiche, sembravano trombe di guerra: “La decolonizzazione è semplicemente la sostituzione di una specie di uomini con un’altra specie di uomini. Si propone di mutare l’ordine universale. È un programma di disordine assoluto”. Che ridicole illusioni, imbecilli! Oggi Fanon dovrebbe riconoscere che il suo libro è carta straccia, il nostro è un destino irremissibile, altro che uomini nuovi».
Razze nemiche
Dal fumo e dall’aria viziata di un locale di Bamako spunta una ballerina. Danza con una specie di rabbia che viene vinta dal torpore, si riprende, ricade. Questa parte dell’Africa è ancora viva? Da mesi, da anni non la sento più respirare. Razze nemiche, jihadisti algerini, libici, Boko Haram, ciadiani si uccidono su un cadavere. Ed ecco questa ragazza meravigliosa che danza per noi che amiamo questa terra dura e crudele e la lasciamo morire.
Danza. Danza. Ho appena letto su un giornale che a poca distanza di qui un kamikaze ha fatto strage in un mercato, trenta corpi già allineati. Questa ragazza meravigliosa danza su un carnaio. Chi ha pietà dell’Africa?