Da Tel Aviv nuove regole d’ingaggio contro l’Intifada
Territori
palestinesi. Il centro Adalah per i diritti umani rivela che sono in
vigore delle nuove norme che permettono alle forze di sicurezza di
sparare munizioni vere su individui «in procinto» di lanciare bottiglie
molotov e petardi o che si preparano ad usare una fionda per scagliare
sassi
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Le immagini girate martedì a una fermata degli autobus nei pressi della
colonia ebraica di Ariel mostrano due soldati israeliani che sparano e
feriscono gravemente una adolescente palestinese che stringe un coltello
in una mano. La ragazza, Jamileh Jaber, di 17 anni di al-Zawiya
(Salfit), non ha colpito i militari. Con movimenti goffi agita la sua
arma provando ad avvicinarsi a loro. Ma è distante, non in grado di
raggiungerli. Loro però sparano subito, la colpiscono all’addome e non
alle gambe come avrebbero potuto fare. Una scena vista tante volte nei
nove mesi della nuova Intifada, che in Israele chiamano l’”Intifada dei
coltelli” in riferimento agli assalti all’arma bianca tentati o compiuti
(e in qualche caso mai avvenuti, affermano i palestinesi) da ragazzini.
Le forze di sicurezza negano l’esistenza di ordini che permetterebbero a
poliziotti, soldati e anche ai coloni di fare fuoco per uccidere. I
numeri tuttavia dicono che molti degli attentatori palestinesi veri e
presunti sono stati “neutralizzati” subito, quelli sopravvissuti sono un
numero esiguo.
Uccisioni
che i palestinesi denunciano come “esecuzioni extragiudiziali”, figlie
di nuove norme. Il centro Adalah per i diritti umani rivela che sono in
vigore delle nuove regole d’ingaggio che permettono alle forze di
sicurezza di sparare munizioni vere su individui «in procinto» di
lanciare bottiglie molotov e petardi o che si preparano ad usare una
fionda per scagliare sassi, una scena abituale da decenni durante
manifestazioni nei Territori occupati. Uno degli avvocati di Adalah,
Mohammad Bassam, avverte che i nuovi regolamenti consentono alla polizia
di agire in «maniera incontrollata e criminale». «Queste norme – spiega
Bassam – si adattano a un scenario di guerra perché considerano le
azioni (dei palestinesi) come atti di guerra. Inoltre non si riferiscono
a tutti i lanciatori di pietre. Sono state decise in riferimento solo
ai giovani palestinesi che scagliano sassi contro gli israeliani e non
anche a quegli israeliani che fanno lo stesso contro i palestinesi». Non
tutte le nuove regole d’ingaggio sono note e Adalah chiede che la
magistratura imponga di renderle pubbliche.
Intanto
in Israele continua a riempire le pagine dei giornali il processo al
sergente Elor Azaria che lo scorso marzo uccise a sangue freddo un
attentatore palestinese ad Hebron, Abdel Fatah al Sharif, ferito
gravemente, a terra e non in grado di nuocere. La sua azione fu filmata
da un abitante del quartiere di Tel Rumeida ed attivista del centro per i
diritti umani B’Tselem. Le immagini fecero il giro della rete e, di
fatto, costrinsero i comandi militari e l’ex ministro della difesa
Yaalon ad ordinare l’arresto immediato di Azaria. Un altro fimato
diffuso qualche settimana fa mostra un infermiere israeliano che sposta
con un calcio un coltello vicino al corpo del palestinese ferito allo
scopo di accreditare la tesi di Azaria di una situazione di «pericolo
imminente». Il sergente invece continua a sostenere di aver sparato per
impedire che il palestinese potesse azionare una cintura esplosiva
(inesistente).
Ad
inchiodarlo sono anche le testimonianze dei suoi superiori che hanno
negato l’esistenza di pericoli per i militari che erano intorno al
palestinese. Per gran parte degli israeliani Azaria comunque resta è un
eroe che ha fatto la cosa giusta.