giovedì 7 luglio 2016

La Stampa 7.7.16
Tredici anni dopo l’invasione l’Iraq resta spaccato in tre
Gli islamisti sfruttano la divisione delle forze politiche e le rivalità etniche
Il Kurdistan punta a un referendum in autunno per avere l’indipendenza
di Giordano Stabile

La facciata scheletrita del centro commerciale Hadi, colpito domenica dal più devastante attacco terroristico dal 2003, è coperta dai drappi con le scritte in ricordo delle vittime. I festeggiamenti della fine del Ramadan, l’Eid al-Fitr, si sono trasformati in rabbiosa commemorazione dei 250 morti, con la folla che legge i nomi ad alta voce. Baghdad è stata ferita al cuore quando la fine dell’Isis sembrava a portata di mano.
La rabbia oscura i successi militari del premier Haider al-Abadi. Due anni fa le colonne dell’Isis erano a Samarra, 125 chilometri a Nord della capitale, e controllavano Falluja, 60 chilometri a Ovest. La tenaglia stava per chiudersi. La capitale è stata salvata dai raid americani e dall’intervento delle milizie sciite addestrate dall’Iran, Hash al-Shaabi. Oggi un primo nucleo dell’esercito iracheno ricostruito, da addestratori americani e italiani, è stato in grado di cacciare gli islamisti dalle loro due storiche roccaforti, Ramadi e Falluja.
Il nuovo esercito
Le forze operative sono ancora limitate, con la Golden Division, 15 mila uomini, a fare il grosso del lavoro. Le milizie sciite, 100 mila combattenti, restano indispensabili per il controllo del territorio. Al-Abadi, salito al potere l’11 agosto 2014, ha però accettato quello che il predecessore Maliki aveva rifiutato: ricostruire le forze armate su base interetnica. L’esercito di Maliki, dove gli ufficiali e quasi tutti i soldati erano sciiti, con scarsa esperienza, si era squagliato di fronte a poche migliaia di jihadisti.
La presenza dell’Isis
La costruzione di un esercito federale è il primo mattone per la riunificazione. Oggi la divisione in tre del Paese è reale, se non istituzionale. La parte nord-occidentale del Paese è sotto il dominio dello Stato islamico, anche se il territorio occupato è passato da 65% al 30%. L’ultima roccaforte è Mosul, due milioni di abitanti, la battaglia più difficile. Ma pure la riconquista della provincia dell’Anbar, limitata alle città, non è definitiva.
Ricomposizione etnica
L’entità sunnita, dominata dall’Isis, finirà per essere riconquistata. Più difficile, invece, che l’entità curda torni sotto il controllo di Baghdad. Il Kurdistan iracheno, 20% del territorio e 15% della popolazione, è semi indipendente e punta a un referendum per la piena sovranità in autunno. Parte del petrolio viene esportato direttamente in Turchia. Il governo guidato da Massoud Barzani ha firmato un pre-accordo con l’Iran per ulteriori esportazioni. In questo modo sostituisce i fondi federali che arrivano con il contagocce.
L’altro elemento di preoccupazione è la ricomposizione etnica. L’Isis ha attuato una pulizia implacabile. Ma la guerra civile ha portato a cambiamenti irreversibili in tutto il Paese. In tredici anni la popolazione è passata da 25 a 35 milioni di abitanti, nonostante il milione di vittime della guerra, i 350 mila rifugiati all’estero, i 3 milioni di sfollati. La componente di sciiti è cresciuta, fino a oltre il 70%. A Baghdad la maggioranza sciita è sempre più schiacciante. Nel 1950 i sunniti erano il 75%, alla caduta di Saddam erano ancora oltre la metà, nel 2015 gli sciiti sono l’80% dei 7 milioni di abitanti. In città i cristiani si sono ridotti da 200 mila a poche migliaia, nel Paese dal 6 all’1%. Se la capitale perde il suo ruolo di melting pot, la spaccatura in tre sarà inevitabile.
Le divisioni politiche
La brutale ondata di attentati dell’Isis punta a sfruttare queste dinamiche. Il sito musingoniraq.com, che monitora gli attacchi, ha conteggiato nell’ultima settimana di giugno 118 “incidenti” con 277 morti: 44 fra i miliziani Hashd, 69 nell’esercito, 164 civili. Nella prima settimana di luglio le vittime sono più di 400. La posizione di Al-Abadi, assediato dagli uomini dell’imam Al-Sadr, che il 30 aprile hanno assaltato il Parlamento, potrebbe cedere e tollerare vendette indiscriminate. È quello che cerca l’Isis per ergersi a difensore dei sunniti. E sarebbe il fallimento definitivo dell’Iraq.