mercoledì 6 luglio 2016


La Stampa 6.7.16
Obama & Hillary costretti a volersi bene
di Gianni Riotta

«Non appartengo a nessun partito organizzato. Io sono un Democratico», rideva il comico americano Will Rogers ma la fama di scapigliata banda politica è costata cara.
Dopo le quattro elezioni presidenziali vinte da F.D. Roosevelt, 1932-1944, e la quinta di Truman 1948, i democratici non hanno più vinto per tre volte la Casa Bianca, fermandosi sempre dopo otto anni, Kennedy-Johnson 1960-1968, Clinton 1992-2000. I repubblicani hanno ottenuto la presidenza dal 1968 con Nixon fino a Bush padre 1992, con la solitaria interruzione di Carter nel 1976, dominando Corte Suprema, Congresso, economia, cultura, diplomazia.
Per spezzare il trend ed avere erede Hillary Clinton, il presidente Barack Obama si getta nella mischia, volando a Charlotte, nel vecchio Sud della North Carolina, per un comizio in uno Stato che, dal 1976 a oggi, i democratici hanno vinto solo due volte e che intendono sottrarre finalmente al repubblicano Donald Trump. Obama e la Clinton sono politici veterani, professionisti: la campagna in cui il presidente sconfisse l’ex First Lady, nel 2008, non ha lasciato calore umano, ma prima, con glaciale calcolo, Obama nomina la rivale Segretario di Stato, poi si impegna per la tripletta «democrats», dopo 68 anni. Hillary e Obama sono diversi, lei concreta figlia di una famiglia repubblicana di Chicago, lui utopista e cerebrale, cresciuto tra Hawaii e Indonesia. La Clinton era per colpire Assad in Siria e far la voce grossa con Putin, Obama non crede che gli americani debbano avere un ruolo egemone, preferisce la guerra asettica dei droni.
Tutto dimenticato. Da qui a novembre Barack&Hillary saranno coppia affiatatissima, pur di battere il magnate Donald Trump. Obama sa che se Trump, ripetendo l’exploit nomination, vincesse a novembre, cancellerebbe il suo brand, dalla riforma sanitaria alle leggi per gli omosessuali, la politica estera cauta. Trump è «l’Anti-Obama», il suo manifesto è disfare quel che il primo presidente afroamericano ha provato a costruire. Obama non si batte solo per il triplete del partito, e neppure per la sua ex ministro (allora alquanto malmostosa), si impegna in difesa della propria eredità storica.
I sondaggi sono favorevoli. Il consigliere David Plouffe, stratega della sconfitta di Hillary nel 2008 e ora dei taxi Uber, stima che i democratici potrebbero conquistare fino a 350 punti elettorali, lasciandone a Trump meno di 200, una sconfitta bruciante. Hillary Clinton spera che, disgustati dalle uscite di Trump, ultima usare la Stella di Davide degli ebrei per insultarla («è la stella dello sceriffo!» s’è difeso, goffo, Trump) repubblicani moderati e indipendenti si astengano o cambino campo, dandole l’agognato controllo del Congresso. Con un giudice progressista della Corte Suprema da nominare, spezzando la maggioranza conservatrice che regna dal 1971, la Clinton avrebbe almeno quattro anni per lavorare all’agenda liberal cara a Obama, dai diritti civili al salario minimo a 15 dollari l’ora proposto dal socialista Sanders.
Ieri l’Fbi, pur criticandola come «imprudente», ha scagionato la candidata democratica dall’incriminazione sul caso delle email gestite da un server privato, non da quello ufficiale del Dipartimento di Stato. Il ministro della Giustizia Loretta Lynch ha a lungo, di soppiatto, conferito con l’ex presidente Bill Clinton e Trump ha tuonato contro «la gaglioffa Hillary», ma il rischio di un’inchiesta giudiziaria sembra eluso.
Tutto facile dunque? A prima vista si, il presidente è popolare, Trump detestato da donne e ispanici, tanti leader repubblicani non lo applaudiranno alla Convention di Cleveland. Ma le elezioni 2016 sono dirompenti come il Brexit inglese. Perfino Nate Silver, sondaggista che non sbagliava una previsione, ha sottovalutato Trump dandogli solo il 2% per la nomination. Donald Trump accusa Barack&Hillary di favorire Wall Street e i commerci, e propone una ricetta populista di protezionismo, dazi e Made in Usa. Anatema per i neoliberal, ma ricetta amata da sindacati, operai e impiegati senza lavoro. Se i giovani sanderisti restano a casa delusi da Clinton «moderata» e i loro padri la trovano «noiosa» e si lasciano conquistare dal richiamo della foresta «America N. 1!» la sorpresa è plausibile. Per evitarla, da Charlotte in luglio a Washington in novembre, vedrete ovunque l’Hillary&Obama Show lasciare in ombra il povero Bill Clinton.