La Stampa 4.7.16
Bisogna eliminare le diseguaglianze
Contro la Brexit è poco il Pil in ripresa
Gli
euroscettici sono sia a destra sia a sinistra, in Francia come in
Spagna Un greco guadagna un terzo di un tedesco. E i giovani sono i più
colpiti
di Linda Laura Sabbadini
L’Europa è
caratterizzata da un elevato livello di disuguaglianza. Se non saprà
fare i conti con questo problema, ci potranno essere altre Brexit. Basta
riflettere sui risultati della ricerca condotta dal Pew research center
in dieci Paesi dell’Unione nel maggio 2016. Sebbene fosse dato quasi
per scontato che avrebbe vinto il «remain», proprio negli anni della
crisi, dai dati emergeva che l’euroscetticismo era cresciuto e non solo
nel Regno Unito.
In alcuni Paesi, questo fenomeno coinvolge
maggiormente elettori di destra (Regno Unito, Italia, Olanda), in altri
più di sinistra (come in Spagna), certamente non riguarda solo
formazioni populiste. In Francia solo il 30% dei sostenitori del Fronte
Nazionale ha un atteggiamento favorevole verso l’Unione Europea, tra i
Repubblicani la quota non è poi così più alta (39%) e si arriva al 51%
tra i Socialisti. I maggiori sostenitori dell’Ue sono rappresentati da
Polonia (72%) e Ungheria (61%). In molte altre nazioni il supporto è
tiepido: 27% la Grecia, 38% la Francia, 44% il Regno Unito, 47% la
Spagna. Numeri critici. In Francia tra il 2015 e il 2016 il gradimento
dell’Unione europea è calato addirittura di 17 punti percentuali, in
Spagna di 16. Il calo di fiducia è trasversale, e ha interessato anche i
giovani, anche se le motivazioni son differenti tra Paesi.
Il perché della crisi
Perché
si è arrivati a questa situazione? L’Europa non è più solo un
riferimento ideale. Nell’Europa si cercano risposte concrete ai propri
problemi. Non basta sentirsi dire che il Pil è in ripresa, è la realtà
della vita di tutti i giorni che deve cambiare. È la capacità di essere
l’Europa del lavoro e della qualità della vita, e non dell’austerità,
che può rompere questa pericolosa spirale. Abbiamo vissuto e stiamo
ancora vivendo una crisi profonda. Intensa, perché la caduta di
occupazione è stata molto elevata. Trasversale, perché ha toccato
segmenti di popolazione di varie fasce di età, estrazione sociale,
territori. Al tempo stesso selettiva, perché alcuni settori di
popolazione sono stati colpiti più di altri, basti pensare ai giovani,
come pure ad alcuni Paesi rispetto ad altri. Una crisi lunga, atipica
rispetto alle precedenti.
Redditi diversi
Nonostante
l’aumento di numero di occupati nel 2015, in Europa siamo al disotto dei
livelli pre-crisi del 2008 di circa 2 milioni 200 mila unità, abbiamo 6
milioni 200 mila disoccupati in più rispetto al 2008 e 1 milione 786
mila forze di lavoro potenziali. Stiamo migliorando, è vero, ma con
ritmi differenti tra i Paesi. In 13 Paesi il tasso di occupazione ha
superato il valore del 2008 ma in 15 no. Le diseguaglianze di reddito
sono evidenti. Il reddito netto pro capite - reso equivalente ed
espresso in parità di potere d’acquisto - greco è poco più di un terzo
di quello tedesco, danese e francese. Quello portoghese è la metà di
quello austriaco e francese. Quello italiano è il 79% di quello tedesco.
Nel Regno Unito il venti per cento della popolazione più ricca detiene
un ammontare di reddito di 5,1 volte più elevato rispetto a quello
detenuto dal venti per cento più povero, così come in Germania, mentre
il valore sale a 5,8 in Italia e a 6,8 in Spagna. Anche la diffusione
della povertà relativa è simile in Germania e nel Regno Unito (con 5
punti percentuali inferiore alla media europea, pari al 17,2%) e sale a
un livello più alto in Italia (19,4), Grecia (22,1), Spagna (22,2), solo
per fare alcuni esempi. I livelli più alti di povertà relativa europea
si rilevano inoltre tra i minori (21,1%) e tra i giovani (23,7%);
d’altro canto i giovani sono stati il segmento di popolazione più
colpito dalla crisi occupazionale. Persino in Germania i giovani
presentano un valore superiore a quello medio, anche a causa del forte
dualismo nel mercato del lavoro introdotto dai minijobs.
Serve coesione sociale
La
situazione è critica, anche se segnali di miglioramento ci sono. La
crisi sociale sarà più lunga di quella economica che è già stata lunga.
L’Europa in questi anni difficili è stata in grado di combattere le
disuguaglianze? È riuscita a venire incontro alle esigenze di qualità
della vita dei suoi cittadini? Purtroppo no, intrappolata nella logica
dell’austerità. Ma se non si risolve la crisi sociale, e in tempi
stretti, e l’Europa non si trasforma in Europa dei suoi cittadini, potrà
innescarsi un processo a catena, dopo Brexit. Abbiamo bisogno di una
classe politica europea lungimirante, che capisca che la vera sfida da
vincere è quella della riduzione delle disuguaglianze tra Paesi e dentro
i Paesi stessi. Perché l’Europa, anche se non lo si vuol ammettere, è
una realtà, e se non la si governa, finirà per disgregarsi. I cittadini
stessi, con il loro voto, fanno una pressione evidente verso un’Europa
diversa. Abbiamo bisogno di ricostruire vera coesione sociale. L’attuale
classe politica deve ascoltare di più i suoi cittadini e rispondere
meglio.