lunedì 4 luglio 2016

Corriere 4.7.16
Aborto e coscienza Quando è lecito obiettare
risponde Sergio Romano

Quando il servizio militare era obbligatorio, gli obiettori di coscienza finivano in carcere militare, nella nostra zona a Peschiera del Garda, quindi pagavano di persona una scelta scomoda, spesso dettata dalla fede. Ho conosciuto obiettori allora incarcerati; pur non condividendone la propensione religiosa, essi meritavano rispetto per la coerenza. Per il personale medico che rifiuta di praticare aborti legali non si può parlare di obiezione di coscienza, in quanto sono le donne a pagarne le conseguenze, rivolgendosi a strutture sanitarie pubbliche che negano interventi. È possibile che si possa configurare una «interruzione di pubblico servizio»? Specialmente quando chi obietta l’aborto nell’ospedale pubblico, lo pratica nel privato.
Francesco Baroni

Caro Baroni,
Nel luglio del 2012 i legislatori dello Stato del Texas hanno adottato misure restrittive che hanno avuto l’effetto di limitare drasticamente (da una quarantina a circa 10), il numero delle cliniche che possono praticare l‘aborto. Tre anni dopo, negli scorsi giorni, la Corte Suprema degli Stati Uniti è intervenuta nella vicenda con una sentenza che definisce «non costituzionali» alcune delle misure adottate. La sentenza mi è parsa giusta. Se l’aborto è permesso da una sentenza del 1992, uno Stato della Federazione non dovrebbe essere autorizzato ad aggirare l’ostacolo riducendo considerevolmente il numero delle istituzioni che sono autorizzate a fornire un tale servizio.
Il caso dell’obiezione di coscienza, tuttavia, mi sembra diverso. In Italia la legge sulla interruzione di gravidanza è stata adottata contro la volontà della Chiesa e forti opposizioni del mondo cattolico. Ma era desiderata da quella parte del mondo femminile che rivendicava il diritto di controllare con le proprie scelte i tempi della maternità. La richiesta aveva la sua logica. Non esiste parità fra i sessi se la donna non può programmare la propria vita professionale. Ma questo non significa, caro Baroni, che l’aborto debba apparire a tutti come un normale incidente di percorso. Non è necessario essere cattolici praticanti per provare disagio e imbarazzo di fronte a un intervento che sopprime sul nascere una potenziale vita umana.
Una società liberale non può ignorare le esigenze di un importante gruppo sociale, ma non può nemmeno voltare le spalle di fronte ai sentimenti dei medici e degli infermieri che hanno forti riserve. Sappiamo che l’obiezione di coscienza crea altri problemi, soprattutto se è invocata da personale medico che lavora all’interno di istituzioni pubbliche; ma l’unica via praticabile, in queste circostanze, è quella del pragmatico buon senso e della tollerante convivenza fra opinioni diverse. Beninteso se il medico fa in privato ciò che dichiara di non volere fare in pubblico, questa non è obiezione di coscienza. È ipocrisia, se non addirittura frode, inganno; e come tale deve essere punita.