La Stampa 2.7.16
Ora Praga vuole imitare Londra
“Referendum per uscire dall’Unione”
Il
presidente Zeman: “Decideranno i cittadini”. Il premier Sobotka frena
Dall’Olanda a Francia e Germania le elezioni del 2017 spaventano
Bruxelles
di Marco Zatterin
Confusione. Mentre
incontra gli abitanti di Velke Mezirici, cittadina da 11 mila anime
nella regione di Vysocina, il presidente della Repubblica ceca, Milos
Zeman, promette che farà «tutto il possibile perché chi è in favore
dell’uscita dall’Ue possa avere un referendum e sia in grado di
esprimersi». Certo, precisa, lui non è d’accordo con la fuga
dall’Europa, eppure le sue parole bastano a dare un nuovo brivido al
patto delle dodici stelle che già naviga nel mare dell’insicurezza
gonfiato da Brexit e ora agitato anche dal ballottaggio austriaco da
rifare. Così è costretto a intervenire da Praga il premier Sobotka, per
precisare che non c’è intenzione di indire una consultazione sulla
permanenza nell’Unione o nella Nato. Polemica chiusa. Forse.
Il
caso esplode nell’esatta ora in cui, a Bratislava, il presidente della
Commissione, Jean-Claude Juncker, e il premier slovacco, Robert Fico,
stano tenendo una conferenza stampa in cui cercano di ricucire almeno in
apparenza i dissidi fra i nuovi e vecchi soci dell’Unione, fra i
fautori di una più stretta integrazione e quelli che, se va bene,
accetterebbero un poco di manutenzione allo status quo. Dal 23 giugno
l’Europa non è più la stessa e il lussemburghese invita a non
«aggiungere incertezza all’incertezza». Il voto britannico alimenta il
virus della paralisi. Le interferenze sono tali che la stampa tedesca
versa piombo per chiedersi se Juncker andrà o no al vertice della Brexit
di settembre, come se fosse il problema centrale.
L’Europa è
assediata. Dal populismo che avanza, come dall’ondata di voti e
consultazioni popolari che affollano il calendario. «Il referendum è
diventato per la democrazia quello che la pornografia è per il sesso»,
prova a scherzare una fonte diplomatica. C’è poco da ridere. Di qui a
dodici mesi, salvo svolte serie, l’Ue si ritroverà con le ossa un poco
più rotte a ogni spoglio ultimato.
Apre la lista delle incognite
il ballottaggio austriaco, vinto di un soffio dai moderati sulla destra
radicale, e ora da rifare. Johannes Hahn, viennese e commissario Ue
all’allargamento, assicura di non essere preoccupato perché
«probabilmente il risultato sarà confermato». I funzionari europei si
chiedono se gli effetti della Brexit convinceranno gli elettori a
mantenersi sul centrosinistra o inciteranno i più arrabbiati che Londra è
un buon esempio. Il rischio è alto. Un paese dell’Eurozona nelle mani
di un partito scettico è una contraddizione.
Non poteva capitare
in un momento peggiore. Brexit ha scosso il tempio europeo dalle
fondamenta. In ottobre si tiene in Ungheria il referendum voluto dal
populista-popolare Viktor Orban sulle quote di riallocazione
obbligatoria dei rifugiati, indetto per dare uno schiaffo alla
Commissione e al Consiglio. Bloccherebbe il piano e l’agenda migranti,
per la gioia del quartetto dei Paesi di Visegrad, a partire dallo
slovacco-presidente di turno Fico.
Quasi contemporaneamente arriva
il referendum sulle riforme italiane, che non è legato a Bruxelles,
però rischia di diventare un sondaggio su Matteo Renzi, con le politiche
europee destinate a orientare consensi e dissensi. Nel marzo 2017 si
vota in Olanda, dove l’antislamico Wilders potrebbe conquistare la
maggioranza relativa dei suffragi. Il primo passo dopo il trionfo
(improbabile) sarebbe un referendum anti-Ue. Lo stesso discorso porta a
maggio e alle presidenziale francesi. Anche qui la cittadina Le Pen
vuole far esprimere il popolo su Bruxelles. In autunno, voto insidioso
in Germania, con Merkel in pericolo. La combinazione dei peggiori
scenari potrebbe mettere democraticamente fuori dalla storia. «Come il
sesso con la pornografia», direbbe con facile probabilità di essere
contestato il diplomatico europeo che non ama i referendum.