La Stampa 20.7.16
La deriva autoritaria del leader
di Mimmo Càndito
Il
vento della vendetta sta spazzando le scuole della Turchia,
riportandola a un tempo arcaico assai lontano dai secoli illuminati
della Sublime Porta.
Via, tutti via. Via i rettori, via i presidi,
via i decani. Prima erano stati i generali, a pagare, i soldati, i
servizi segreti, anche i giudici, ora va via anche la testa pensante
della Turchia, lasciando intendere che Erdogan vuole avere piano
controllo del pensiero, della libertà del giudizio, dell’autonomia della
intelligenza. Via, fuori dalla scuola, fuori dalle università, fuori da
centri di ricerca. Ogni regime autoritario vuole creare «l’uomo nuovo»,
tende a rimodellare con il suo afflato la mente, il cervello, il
pensiero, dei cittadini.
Ma Erdogan è a tutt’oggi il capo di Stato
eletto con libere elezioni, con un Parlamento e un sistema giudiziario
che ne dovrebbero bilanciare il potere, e una struttura politica che
punta credibilmente a essere accolta nel corpo istituzionale della
Unione Europea. Ora la replica a quanto sta avvenendo in Turchia spetta
alle capitali europee.
Titolari di storie che hanno costruito nei
secoli la tutela della libertà della ricerca intellettuale come elemento
fondante di una comune, irrinunciabile, identità.
L’editto sulle
epurazioni di massa è stato emesso dallo Yok, Consiglio per l’Alta
Educazione, che guida e sovrintende le università turche. Formalmente,
lo Yok chiede le dimissioni di tutti i 1577 docenti che hanno la
responsabilità scientifica degli atenei di Ankara, Istanbul, Smirne,
Antalya, di ogni parte della Turchia, dall’Anatolia fin giù alle terre
dell’Asia Minore. La richiesta di dimissioni cela il progetto di una
purga totale, rafforzata dal licenziamento immediato di 15.200
funzionari della pubblica istruzione e di 21 mila docenti di scuole
private. E poi vengono chiuse radio e stazioni televisive, vengono
sbattuti in galera i giornalisti, licenziati in tronco cronisti e
opinionisti. Quando, cento anni fa, Kemal Atatürk prese il potere, e lo
esercitò con la mano autoritaria di un militare che si fa politico, i
suoi editti puntarono a cancellare l’egemonia della storia religiosa del
suo Paese ma ne rispettarono e ne tutelarono la storia intellettuale:
abolì il fez come simbolo di una identità da cancellare e troncò
l’integrazione tra potere politico e potere religioso, cancellò anche la
vecchia scrittura araba e la sostituì con le lettere dell’alfabeto
latino però mai arrivò a purgare le teste pensanti della scuola della
nuova Turchia che abbandonava l’eredità dell’Impero Ottomano. Cambiarono
certamente i testi scolastici ma l’apporto delle intelligenze fu
richiesto e conservato sia pur all’interno di un disegno di rifondazione
della identità nazionale. Erdogan, che pure ordina ai suoi cameramen di
riprenderlo con alle spalle una enorme gigantografia severa di Atatürk,
avanza sprezzante di ogni identità e si spinge in un territorio dove la
devastazione delle coscienze pare essere l’unico obiettivo che lo
interessi. E non per fedeltà a una utopia che realizzi una società nuova
ma per consolidare il potere.