mercoledì 20 luglio 2016

La Stampa 20.7.16
Disprezzo della modernità e ideologia della morte, questo è islamofascismo
di Massimiliano Panarari

Islamofascismo. È davvero giunto il momento di impiegare questa parola. Senza reticenze, e a ragion veduta perché, alla luce dell’azione e della visione dell’Isis, non si tratta più di un’intuizione o di un’etichetta impressionistica, ma di una categoria dotata di validità «gnoseologica» e in linea con la metodologia delle scienze sociali che si pongono l’obiettivo di precisare la natura dei fenomeni, cogliendone analogie e differenze.
E, giustappunto, nel caso dell’ideologia dell’Isis (e, più in generale, dell’arcipelago in franchising che si richiama al suo «marchio») le similarità con i dispositivi simbolici del nazifascismo si rivelano estremamente numerose. A partire dal rigetto totale della modernità in termini di valori (l’avversione per i principi dell’Illuminismo e per l’Occidente tollerante e pluralistico), mentre se ne utilizzano i risultati tecnologici (dai media per la propaganda al dark web per i traffici criminali). Precisamente quel mix di tecnica e dottrina che si richiamava all’eternità della Tradizione praticato dal «modernismo reazionario», brodo di coltura, nella Germania di inizio Novecento, del nazionalsocialismo.
Molti degli elementi del jihadismo dell’Isis paiono provenire direttamente dal cuore di tenebra del Secolo breve, nero come il cromatismo politico di cui si fregiavano allora i nazifascisti e ora gli islamisti (e, del resto, sono storia le relazioni tra vari settori dell’Islam radicale e il regime hitleriano cementati dall’antisemitismo e dal nazionalismo).
Il Califfato che cerca di espandere i propri confini mobili applica di fatto la dottrina geopolitica - sviluppata dalla destra estrema tedesca, e presente anche nel fascismo italiano - del Lebensraum (lo «spazio vitale»). L’islamofascismo (che si fa islamo-totalitarismo rispetto alle condizioni di vita imposte nei territori soggiogati) si fonda in ultima istanza sull’ideologia della morte (al centro dei discorsi di Al Baghdadi) e sul nichilismo, ed esalta il martirio con parole in cui si avvertono gli echi dell’apologia della «bella morte» e di quell’estetizzazione della violenza che erano state elaborate dalla cultura fiancheggiatrice del fascismo. La glorificazione del gesto individuale che semina la morte tra gli occidentali è intrisa di quel vitalismo irrazionalistico che costituiva uno dei pilastri della Weltanschauung nazifascista, dove la comunità organicista si ricomponeva nell’odio per il diverso, da sterminare. Innanzitutto, in nome di una concezione biopolitica nella quale l’adesione a un’interpretazione oscurantista e disumana della religione musulmana prende il posto dell’unità della «razza», contemplando, come nel nazifascismo, il controllo totale del corpo (ovvero il potere di vita o di morte) di chi viene sottomesso. E il medesimo disprezzo nei riguardi della cosiddetta «arte degenerata» portava ieri le camicie nere a fare i roghi di quadri e libri, e oggi i jihadisti a trapanare statue e a far saltare per aria vestigia archeologiche.
Tutto questo è, esattamente, islamofascismo.