La Stampa 2.7.16
Se Matteo rincorre i populisti
di Fabio Martini
La
«nuova» Tav, più corta e dall’impatto ambientale più sostenibile, è il
primo messaggio del Renzi che verrà. Un Renzi sempre più attento a
recuperare l’elettorato malmostoso, l’elettorato che per il momento sta
premiando il Movimento Cinque Stelle. Naturalmente ci sono tanti
escamotage per contendere elettori ad un movimento di protesta che - da
qualche settimana e per la prima volta - si sta candidando a forza di
governo. Essenzialmente ci sono due strade ragionevolmente percorribili.
Il
presidente del Consiglio può decidere di incrementare il profilo
riformista, sfidando il populismo montante con provvedimenti
controcorrente, modernizzatori, non necessariamente in sintonia con
l’onda che sale. Oppure può produrre atti di governo in qualche modo
capaci di «parlare» ad un elettorato mobile. Inseguendolo.
Anticipandolo. Interpretandolo. Con la decisione di tagliare circa 25
chilometri di gallerie della Tav e proprio in zone densamente abitate,
il governo non abbandona l’opera, ma la reinterpreta.
Lo fa
ridisegnando un tracciato che era datato e aggiornandolo secondo due
imperativi ritenuti categorici: riduzione dei costi e dell’impatto
ambientale. In questo modo Renzi prova a non perdere il connotato
modernizzatore, ma riconducendolo dentro binari più «ragionevoli» e
comprensibili da un elettorato sempre più intollerante verso tutto
quello che viene deciso dall’alto.
La Tav più corta e dal minore
impatto ambientale è soltanto un primo segnale e nei prossimi mesi altri
ne verranno. Perché oramai, è chiaro, il pericolo per Renzi viene dai
Cinque Stelle e la sfida per il governo del Paese si gioca in questo
duello. Il dilaniato centrodestra è fuori gioco e rischia di restarci a
lungo. Certo, i sondaggi sono istantanee che fissano il presente e nulla
dicono del futuro e spesso sono anche istantanee sfuocate. Eppure gli
ultimi sondaggi, oramai convergenti, indicano Pd e Movimento Cinque
Stelle come appaiati. In alcuni la fiducia nei confronti di Luigi Di
Maio è persino superiore a quella nei confronti del presidente del
Consiglio. Ma soprattutto, ecco il punto dolente nell’ottica di palazzo
Chigi, un ipotetico ballottaggio vedrebbe oggi il movimento di Grillo
distaccare nettamente il Pd. Sia chiaro: si tratta di sondaggi che
fotografano, più o meno correttamente, gli umori degli elettori italiani
all’inizio dell’estate del 2016 e nessuno può giurare che nella
primavera del 2018 le intenzioni di voto saranno le stesse. Ma per un
leader attentissimo ai sondaggi come Renzi, questi numeri producono
inquietudine.
Fino ad oggi il presidente del Consiglio ha sempre
reagito con scatti di adrenalina e di decisionismo ai passaggi a vuoto
che si sono susseguiti in questi due anni e mezzo. Stavolta appare più
riflessivo, meno reattivo e il ridisegno del tracciato della Tav appare
un primo segnale. Verso un «grillismo» o un populismo di governo? Presto
per dirlo, anche se sembrano andare in quella direzione la ricomparsa
(in vista del referendum) degli slogan sulle poltrone cancellate e sui
politici in meno garantiti dalla riforma costituzionale. Una cosa è
certa: per un leader come Renzi sarebbe più produttivo riprendere la
strada di un riformismo - «populista» o modernizzatore, dipende da lui -
piuttosto che mettere mano di nuovo alla legge elettorale.
Non
soltanto perché una modifica in corsa per danneggiare i Cinque Stelle
finirebbe per rendere motivata l’accusa degli avversari al presidente
del Consiglio di ridisegnarsi la legge a suo uso personale. Ma c’è una
ragione in più che dovrebbe sconsigliare Renzi. Una ragione assente
dalla discussione pubblica, ma molto forte: la legge elettorale, in
applicazione delle «clausole» contenute nell’Italicum, è entrata in
vigore ieri e sarebbe davvero bizzarro modificarla senza averla mai
sperimentata. La legge elettorale proporzionale che ha accompagnato la
trasformazione dell’Italia da Paese agricolo a potenza del G7 è durata
48 anni. Il cosiddetto Mattarellum è restato in vita 10 anni, così come
il malfamato Porcellum. Strozzare nella culla l’Italicum senza averlo
mai sperimentato sarebbe un unicum davvero ineguagliabile. Ecco perché
la sfida di Renzi al Cinque Stelle sul terreno delle riforme che
«parlano» ad un elettorato di frontiera e ancora di più ai tanti
elettori del Pd trasmigrati, appare la strada più probabile. E anche
quella che potrebbe riservare diverse sorprese.