La Stampa 17.7.16
“Egiziani e turchi prigionieri di due fascismi”
Al-Aswani: io, incollato davanti alla tv
di Francesca Paci
Tra
tutti i telespettatori del mondo che venerdì notte hanno seguito il
tentativo di golpe in diretta, gli egiziani sono stati i più coinvolti,
inchiodati allo schermo a rivedere nella Turchia di Erdogan la loro
storia recentissima, frustrazioni, ambizioni, paura e poi, tragico, il
naufragio delle speranze nel presente. Lo scrittore Alaa al Aswani,
grande cantore dell’Egitto contemporaneo bloccato tra caserme e moschee,
non ha perso una sola delle notizie in arrivo da Istanbul: lui che si è
battuto contro Mubarak, contro Morsi e adesso contro il regime del
presidente Sisi, guardava i tank nelle strade e tifava per la
democrazia.
Com’è, stato rivedere in tv il suo Egitto, 30 giugno 2013?
«Posto
che sono contro qualsiasi golpe e che considero Erdogan l’ennesimo
presidente islamico che usa la democrazia per diventare un dittatore,
come provano il suo tentativo di cambiare la Costituzione e i tanti
giornalisti arrestati, c’è una grande differenza tra il 15 luglio 2016
in Turchia e il 30 giugno 2013 in Egitto: da noi c’erano milioni di
persone in piazza a chiedere nuove elezioni e a sostenere l’intervento
dell’esercito, mentre ieri sono scesi in strada sostanzialmente solo i
sostenitori di Erdogan. Nel nostro caso i militari hanno poi instaurato
una nuova dittatura, ma quel giorno, il 30 giugno eravamo tutti con
loro».
Eppure al netto delle differenze, la Turchia come l’Egitto
sembra oscillare sempre tra il potere religioso e quello militare.
Perché?
«Questa è la grande crisi del mondo musulmano, arabo e
non. Abbiamo avuto l’indipendenza sessant’anni fa e da allora ci
sbattiamo tra il fascismo militare e quello religioso. La maggioranza
dei nostri popoli, come la maggioranza di chi sostiene Ergogan, non è
interessato alla democrazia, ma al proprio benessere. Erdogan ha dato ai
turchi la crescita economica e loro lo amano, a prescindere dai diritti
umani».
Vuol dire che la maggioranza delle società musulmane non sono interessate alla democrazia?
«Voglio
dire che le persone come me, che rifiutano qualsiasi dittatura
religiosa o militare anche se gli porta delle convenienze, sono una
minoranza. La maggioranza vuole la democrazia non per principio ma per i
propri interessi. Ma non vale solo per noi, anche in Russia per esempio
è cosi: a parte la religione, Putin è come Erdogan».
Come legge quanto è accaduto venerdì notte in Turchia?
«Un
islamista crede di essere l’unico, il migliore, ha Dio dalla sua parte e
questo gli da legittimità anche politica. Un islamista in politica,
Erdogan come Morsi, è esclusivo: va automaticamente verso il fascismo
perché non considera l’opposizione. L’islam politico, e un po’ ogni
religione politica, ha problemi a integrarsi nella democrazia».
Cosa succederà adesso che Erdogan è più forte di prima?
«Erdogan
è molto più furbo di Morsi. Adesso ha resistito ed è normale che sia il
più forte, ma mi preoccupa il fatto che non creda nella democrazia: la
usa come quelle medicine che vanno prese una sola volta: avuto il potere
con le elezioni, la democrazia non serve più. Seguendo il golpe in tv,
ho pensato che i turchi, come noi egiziani e come tutto il mondo
musulmano, sono prigionieri di due facce dello stesso fascismo».