domenica 17 luglio 2016

Corriere 17.7.16
Cliff Kupchan
«Se non saprà fermarsi e schiaccerà l’opposizione Erdogan finirà isolato»
Il politologo: la sua immagine internazionale è compromessa
intervista di Massimo Gaggi

NEW YORK «La richiesta turca agli Usa di estradizione del leader in esilio Fethullah Gülen, accusato di terrorismo? Il presidente Erdogan deve prendersela con qualcuno e ha messo nel mirino un dissidente che vive all’estero. Cerca di recuperare il consenso della parte del Paese che l’ha appoggiato fin qui intimando agli Stati Uniti di consegnare Gülen. Non funzionerà. Crescerà la diffidenza nei suoi confronti da parte dell’altra metà della Turchia: quella che non lo ama».
Cliff Kupchan, politologo e presidente di Eurasia, è convinto che il fallito «golpe» nell’immediato inciderà negativamente sulla cooperazione tra la Turchia e gli altri Paesi occidentali, Stati Uniti in testa. Col rischio di dare un po’ d’ossigeno ai terroristi dell’Isis.
Ma nel medio termine, aggiunge l’analista, Ankara tornerà a «una cooperazione stretta con l’alleato americano e anche a una maggior collaborazione con la Russia, come avevamo cominciato a vedere nelle scorse settimane».
Dunque nessun cambiamento profondo nonostante la grave ferita di un colpo di Stato che è fallito lasciandosi dietro la scia di centinaia di morti?
«Cominciamo dalla situazione interna del Paese. Bisognerà vedere quanto dura sarà la repressione. Se metterà sotto accusa le opposizioni, che pure hanno condannato il golpe, usando il potere di sopprimere l’immunità parlamentare che si è già dato, Erdogan comprometterà ulteriormente la sua immagine internazionale, è ovvio. Non credo lo voglia, vedremo se saprà frenarsi. Per il resto, lui ha sconfitto i golpisti, ma l’episodio non lo rafforza: i suoi fan hanno fatto blocco e continueranno a restargli fedeli, ma è difficile che possa acquisire nuovi consensi col pugno di ferro. Anzi, calerà il consenso, già oggi giudicato insufficiente, per una riforma costituzionale con l’introduzione di un sistema presidenziale basato su un presidente esecutivo. Oltre che con quella politica, poi, dovrà poi vedersela con l’instabilità sociale, dato che le tensioni che dilaniano il Paese incideranno negativamente sull’economia, a cominciare dal turismo».
Questo per politica ed economia. E l’impatto sulle forze armate?
«I problemi più gravi sono proprio qui. Le forze di sicurezza turche finora avevano fatto un eccellente lavoro bloccando il flusso di migranti verso l’Europa. Ma adesso queste forze sono spaccate e si fanno una guerra intestina, trascurando la loro missione primaria. Stesso discorso per servizi segreti e forze speciali che dovrebbero combattere il terrorismo, ma in questa fase sono intente a combattere tra loro. La lotta all’Isis e al Pkk verrà inevitabilmente penalizzata. La Turchia sarà ancora più vulnerabile agli attacchi del terrorismo. Un bel problema per Erdogan, accusato da molti di non saper garantire la sicurezza del Paese».
E sul piano internazionale? La Turchia, ansiosa di ritagliarsi un ruolo di primo piano come potenza regionale, sembrava voler diventare un fattore di stabilità in Medio Oriente. E adesso?
«Ci saranno scossoni, inutile nasconderselo. Ma chi teme che possa venir meno il ruolo della Turchia nella Nato e, addirittura, che agli Usa venga chiesto di rinunciare alle loro basi militari sul suolo turco, è fuori strada: la collaborazione Usa-Turchia continuerà perché è nell’interesse di tutti e due i Paesi: l’Occidente ha bisogno della Turchia per combattere il terrorismo, contenere il conflitto siriano, gestire i profughi che fuggono dal Medio Oriente e dall’Asia Centrale. Ma anche Erdogan ha bisogno della credibilità che solo gli Stati Uniti possono dargli nei negoziati con gli altri Paesi del mondo arabo».
Alleanza obbligata, insomma, soprattutto per la comune contrapposizione alla Russia.
«In realtà di recente Erdogan, sempre arcigno all’interno, si era mostrato più pragmatico sul piano internazionale agendo attivamente per migliorare i rapporti anche con la Russia di Putin e con Israele. E aveva cominciato a combattere davvero l’Isis. È questo atteggiamento positivo e realista che rischiamo di perdere nell’immediato. La Turchia, lo ripeto, è essenziale nella gestione della crisi siriana. E di recente un passo del primo ministro di Ankara aveva dato la sensazione di un atteggiamento meno rigido anche nei confronti di Assad».
Rischia di essere vanificata l’intesa Kerry-Lavrov per il coordinamento degli attacchi russi e americani contro Isis e Al Nusra?
«Ci andrei piano a parlare di accordi: molte ore di negoziati per tirare fuori un comunicato assai vago».