giovedì 14 luglio 2016

La Stampa 14.7.16
Quella rabbia fredda sui politici “Non prendono mai il treno”
L’attesa dei parenti delle vittime per il riconoscimento si trasforma in uno sfogo contro qualsiasi autorità: “I soldi solo all’alta velocità”
di Francesca Paci

«Il dolore lo prova chi lo sente! Non potete tenerci fuori, all’oscuro, non potete trattarci come fossimo trasparenti, questo lutto è peggio di un attentato». Sabino Lo Conte piange e impreca contro gli operatori sanitari che a metà mattinata bloccano parzialmente l’ingresso della camera mortuaria ai famigliari affluiti per il riconoscimento delle vittime filtrandoli a piccoli gruppi.
Ma è un’invettiva indirizzata ben al di là di quelli che, pur dovendo mostrarsi fermi per evitare il caos, si prendono cura del corpo di sua sorella, 52 anni, casalinga, una delle 23 vittime allineate nelle celle frigorifere a due piani sottoterra. Sabino, ciabatte e pantaloncini corti, ce l’ha con le autorità: «Mia sorella era venuta a Bari per una visita, quel treno per noi è una specie di metropolitana leggera che, tra l’altro, ferma qui al Policlinico. E’ il treno che prende la gente normale, mica i potenti. Adesso daranno la colpa a chi ha commesso l’errore ma nessuno dirà che “lassù” si spendono i soldi per la nuovissima alta velocità senza mettere in sicurezza le strutture già esistenti».
Sabino non è l’unico. Davanti all’obitorio del Policlinico di Bari si respira una tensione che va oltre la sofferenza, c’è disperazione ma anche rabbia, c’è la sensazione di essere stati travolti da un destino che non assegna i suoi colpi equamente. Due mondi si fronteggiano sulle scale roventi: da una parte i familiari, spettinati e vestiti alla meno peggio, che attendono la conferma più atroce, e dall’altra le autorità giunte per il cordoglio ufficiale, il ruolo istituzionale, le conferenze stampa.
Al passaggio della funzionaria della Prefettura con i suoi uomini, come a quello dei vertici dell’ospedale, si leva un mormorio di disapprovazione. «Sono i peggio, loro il treno non lo prendono di sicuro» ringhia una ragazza stringendo il coetaneo disperato di nome Vincenzo a cui ripete da ore, «Lei è in cielo, devi pensare a tua figlia». Poco distante ci sono i cugini di Maurizio Pisani, il manager agroalimentare 49enne che stava andando all’aeroporto per tornare a Pavia, la città di suo padre, docente di diritto penale, dove viveva con la moglie Alessandra e la figlia di 4 anni. Alessandra è dentro accanto alla salma del marito, tormentandosi per non averlo accompagnato in macchina. Gli altri, fuori, si confrontano con famiglie più semplici, gente che abita in quartieri di Andria meno centrali del loro ma è accomunata dalla medesima rabbia: «I politici si vedono quando è il momento della “photo opportunity”, arrivano con le auto blu e poi si dileguano». Il gelo che accoglie i “politici” non risparmia neppure figure popolari come il sindaco di Bari Antonio De Caro o il presidente della Regione Michele Emiliano: silenzio tombale, sguardi feroci dietro le lacrime, nessuno che urli invettive o bottigliette ma tutti che ripetono: «Non ci serve la vostra presenza oggi».
«Là sotto, all’obitorio, c’è molta rabbia, rabbia contro il destino ma anche contro le isituzioni, la rabbia è un vissuto d’impotenza», confermano la dottoressa Anna Palumbo e il presidente dell’ordine degli psicologi di Puglia Antonio Di Gioia, entrambi al lavoro per sanare traumi, post traumi, traumi vicari, fantasmi come quelli del piccolo superstite Samuele, 7 anni ieri, la cui nonna, Donata Pepe, è morta per salvarlo (ma lui non lo sa).
«Scopriamo adesso che il via libera ai treni viene dato per telefono, una follia, quella linea doveva essere ammodernata, i soldi c’erano ma evidentemente non c’era la volontà politica» dicono gli zii di Gabriele Zingaro, il perito 24enne che tornava ad Andria proprio dal Policlinico, dov’era venuto a medicarsi un dito infortunato. Ti aspetteresti che ce l’abbiano con i potenziali “responsabili materiali”, i macchinisti morti entrambi, Pasquale Abbasciano pronto ad andare in pensione all’indomani del matrimonio della figlia a settembre, e Luciano Canterino, oppure con i capostazione di Corato e di Andria, non ancora ufficialmente indagati ma sospettati dell’errore al via libera. Invece no, i figli di Enrico Castellano pretendono «verità e giustizia»: è sui «potenti» che tutti puntano l’indice, in un muto j’accuse.
«Sono sposata con un macchinista di Andria e quando all’inizio la mamma di Pasqua Carnimeo giurava vendetta contro i colleghi di mio marito mi sono sentita male, le ho detto che sono poveracci anche loro, che fanno turni massacranti, che io lo saluto alle 14 e lo rivedo alle 20 del giorno dopo, alla fine ci siamo abbracciate, siamo lo stesso popolo» racconta una volontaria della Croce Rossa che da due giorni si occupa dei morti, dei vivi: a fine giornata si occuperà anche di sedare la signora Carnimeo, uscita di testa davanti al cadavere della figlia e portata via con l’ambulanza.