giovedì 14 luglio 2016

La Stampa 14.7.16
Il ricercatore che estrae la matematica dalla musica
Nel suo laboratorio al Cnrs di Parigi, Moreno Andreatta lavora con numeri e note. E i musicisti gli chiedono aiuto
di Leonardo Martinelli

Paolo Conte mica ne era consapevole: quando compose Madeleine, brano struggente e surreale, di certo non si rese conto della sua «valenza matematica». E invece Moreno Andreatta, matematico e musicista, si entusiasma ad ascoltare la canzone. «Ci sono poche ripetizioni – spiega -: gli accordi sono sempre diversi. Si sviluppano su un zigzag allungato. Ci si allontana sempre più, per poi ritornare alla tonalità di partenza». Sullo schermo del computer appare una visualizzazione geometrica di Madeleine: esagoni che si illuminano e si succedono senza sosta. Mentre Andreatta addirittura le canta (e bene) quelle parole: «Dis donc Madeleine, certi gatti o certi uomini, svaniti in una nebbia o in una tappezzeria, mai più, mai più ritorneranno, si sa, col tempo e il vento tutto vola via».
A Parigi Andreatta, 45 anni, lo chiamano «mathémusicien», strano ibrido fra matematico e musicista. Il Cnrs, glorioso organismo pubblico, lo ha appena nominato direttore di ricerca per indagare sulle relazioni tra quei due mondi: una première in Europa. Lui procede in entrambe le direzioni. «La matematica – spiega - fornisce strumenti per analizzare la musica e per comporre». Lo diceva già Leibniz: la musica è un calcolo aritmetico che l’anima fa senza sapere che sta contando. Ma, in realtà, il discorso vale anche al contrario: «La musica può determinare nuovi campi di ricerca nella matematica: è sempre stato così. Fin dai tempi di Pitagora: lui si rese conto che esisteva una relazione tra la lunghezza di una corda e l’altezza del suono percepita. E da lì nacque l’idea di comprendere l’armonia, di sviluppare le frazioni e tutto il suo lavoro sui numeri razionali».
Andreatta parla e suona su una pianola collegata al suo computer all’Ircam, l’Istituto di ricerca e coordinazione acustica/musica, fondato da Pierre Boulez e concepito, fin dal 1970, come parte del Centro Pompidou, che si trova subito accanto. Approdato qui già alla fine degli Anni Novanta, il ricercatore italiano proviene dall’altopiano di Pinè, in Trentino. Si è laureato in matematica a Pavia e diplomato in pianoforte al conservatorio di Novara. «Ho imparato a suonare già prima di scrivere o di leggere la musica - ricorda -. Avevo tre anni, mi mettevo sulle ginocchia di papà. E suonavo con lui». Suo padre è un pianista autodidatta, diventato poi direttore di un coro di montagna. La duplice passione (musica e matematica) accompagnerà da subito il piccolo Moreno.
«Poi, all’ultimo anno della facoltà mi capitò tra le mani un libro, Musica formalizzata, che mi aprì gli occhi». L’autore era Iannis Xenakis, compositore, ma pure ingegnere e architetto, collaboratore di Le Corbusier. «Xenakis spiegava come si potesse formalizzare la teoria musicale sulla base della matematica, in particolare di strumenti algebrici, come la teoria dei gruppi». Andreatta si metterà a studiare i «canoni ritmici a mosaico», un’idea di Olivier Messiaen, compositore francese morto nel 1992. Sono canoni diversi da quelli tradizionali, perché non si ripete un pattern ritmico rigido: rappresentano un «caos organizzato», così lo descriveva lo stesso Messiaen. Da lì Andreatta ha iniziato a occuparsi delle «canzoni hamiltoniane», che permettono di passare attraverso tutti gli accordi, maggiori e minori, senza mai ripetersi.
«I problemi matematici su cui ho lavorato è stato possibile integrarli in linguaggi di programmazione musicale, poi forniti ai compositori». La «traduzione» avviene mediante un software («open music») ideato dai tecnici dell’Ircam. Già vari nomi della musica contemporanea ci hanno fatto ricorso. «Ma ormai si interessano anche i musicisti pop - spiega Andreatta -, così si può andare oltre quei quattro accordi di base su cui sono costruite oggi tutte le canzoni in circolazione». Il cantante francese Polo (il suo vero nome è Pierre Lamy) ha già collaborato con lui per un brano, una vera canzone hamiltoniana. Ad altri quel genere è venuto naturale, senza bisogno di algoritmi, vedi Madeleine di Paolo Conte. Faceva parte del repertorio di Andreatta, in un’altra vita, quando, da dottorando a Parigi doveva sbarcare il lunario. «Per dieci anni ho fatto il pianista sul Bretagne, il sabato sera». Era il mitico battello che scivolava sulla Senna, con i turisti di ogni parte del mondo. «Mi divertivo da matti. Mi rilassavo, dopo ore passate nel laboratorio». Senza per forza rincorrere visualizzazioni di armonie. Al di là di canzoni hamiltoniane, spontanee o costruite di sana pianta. La musica e basta.