giovedì 14 luglio 2016

Corriere 14.7.16
Esodo. Storia del nuovo millennio di Domenico Quirico: Neri Pozza Editore
In viaggio con il popolo dei dannati
di Giuseppe Sarcina

Domenico Quirico viaggia nello spazio tra il nostro mondo e quello dei disperati, dei respinti. Uno spazio che immaginiamo sottile come un confine, una spiaggia, un barcone. E invece è enorme, misconosciuto, spesso terrificante.
Nel suo ultimo libro Esodo. Storia del nuovo millennio , pubblicato da Neri Pozza Editore (pagine 174, e 16), l’inviato della «Stampa» scompare ancora una volta all’orizzonte. Poi riappare improvvisamente su una pilotina stracciata e piena zeppa di visi, occhi brillanti nella notte, in rotta verso Lampedusa. Di nuovo si dissolve nel deserto della Libia e un’altra volta riaffiora seduto nella cabina di un camion lercio, di fianco a un trafficante di uomini e di donne, con il cassone pieno di corpi, la sua merce. Non importa se sono profughi o migranti economici o chissà che cos’altro. Il racconto di Domenico ignora, in modo si potrebbe dire programmatico, le categorie giuridiche; non considera, come si fa per cose considerate futili, i distinguo che poi diventano gli alibi dei governi occidentali.
Zarzis in Tunisia, «da dove è cominciato tutto», Lampedusa, la Siria, Bamako e Kayes in Mali, Djemà in Niger, il deserto della Libia, Mersin in Turchia, Horgos in Serbia, Tatouine ancora in Tunisia, Tor Sapienza a Roma, Catania, Gourougou in Marocco, Calais in Francia. Questa è la geografia, questo il piano di lavoro di Quirico, perché i migranti «per certi aspetti ormai li conosciamo», ma «resta da fare ancora un lungo cammino per giungere all’interno dei loro enigmi».
È un percorso impegnativo di andata e ritorno coperto con un’attrezzatura leggera. L’autore riduce al minimo le analisi, i ragionamenti. Preferisce portarci con implacabile esattezza proprio in mezzo alla polvere, nelle case abbandonate dai fuggiaschi, in una scuola siriana ancora piena dei cadaveri: scolari e maestri massacrati da una formazione di ribelli.
Forse la parte più ricca dei reietti siriani in fuga da Aleppo o Homs riuscirà a costruirsi un’altra vita, a suon di denari investiti magari in qualche città della costa turca, come Mersin appunto. Quali sono, invece, le possibilità concrete, quelle disponibili qui e ora, per i ragazzi, gli uomini, le donne provenienti dal Maghreb o in cammino dall’Africa profonda? Perché non dovrebbero fuggire dalle persecuzioni delle brigate nere dell’Isis o, più semplicemente, dal nulla di terre implose, economicamente e socialmente in decomposizione?
L’Europa, l’Italia, tutti noi, nota Domenico, assistiamo come storditi, barricati nel nostro benessere, immersi, ed è forse l’immagine più efficace dell’intero libro, in un’acqua che sembra quella di un secchio rimasto a lungo all’aperto. Vista da lontano, dalle genti che si assiepano alle frontiere, appare trasparente, pulita. Poi, quando un profugo o migrante che sia ci mette dentro una mano la sente pesante, untuosa. In definitiva sporca. Come è successo davanti al filo spinato ungherese o alla rete di Melilla, l’enclave spagnola in Marocco; oppure nella «giungla» degli accampamenti costruiti con i sacchetti di plastica a Calais, o, infine, nel centro per stranieri assaltato a pietrate a Tor Sapienza, nella periferia di Roma.
L’ Esodo è già storia, il cambiamento è inarrestabile. Il popolo dei migranti è già in noi: la premessa e la conclusione del libro faranno molto discutere. Ma per Quirico non si tratta di costruire una tesi a tavolino: è la semplice, palmare evidenza dei fatti, vissuti innanzitutto; poi raccolti e allineati per un lettore disposto almeno a vedere e ad ascoltare .