il manifesto 14.7.16
Il tempio dei bambini abbandonati
Lo
Spedale degli Innocenti a Firenze, primo brefotrofio d’Europa, riapre
con un nuovo percorso museografico dopo gli interventi di
riqualificazione realizzati da Ipostudio. Non sempre in armonia con
l'idea di Brunelleschi
di Maurizio Giufrè
FIRENZE
Appena inaugurato, il Museo degli Innocenti a Firenze si distingue dal
nuovo dell’Opera del Duomo – riallestito da Adolfo Natalini e
Guicciardi&Magni – per la particolarità di essere esso stesso un
monumento. È tra le prime opere di Filippo Brunelleschi che vi mise
mano nel 1419 per soddisfare la richiesta dell’Arte della Seta di un
luogo per il ricovero e le cure dell’infanzia abbandonata: pulcherrium
haedificium. Situato in uno degli snodi urbani più importanti della
città, lo Spedale si apre su una piazza simmetrica che un rettifilo
collega da un lato con la cupola di S. Maria del Fiore e dall’altro,
sulla piazza, con la Basilica della Santissima Annunziata.
Oggi il
complesso brunelleschiano è uno spazio museale restituito al patrimonio
culturale cittadino dal progetto – il più convincente tra i sette
finalisti del concorso bandito nel 2008 – degli architetti di Ipostudio
con Pietro Carlo Pellegrini e Eugenio Vassallo. Il loro riordino
museografico si è misurato con la storia, l’architettura e l’arte che lì
si è depositata nei secoli tra incarichi, donazioni e lasciti. Atteso
da più di quaranta anni dopo l’ultimo allestimento di Luciano Berti e
Guido Morozzi del 1971, il nuovo museo migliora le condizioni di
conservazione e fruizione delle opere d’arte (dai tardi trecenteschi
Giovanni del Biondo e Giovanni di Francesco Toscani a Piero di Cosimo e
Bernardo Rossellino fino al manierista Jacopino del Conte) ma non
splende per una serie di soluzioni adottate che risultano discutibili
per qualità (illuminotecnica) e per spazi scelti.
È il caso
dell’ambiente sacrificato per i putti in fasce di Andrea della Robbia,
all’origine sormontanti la facciata del Loggiato brunelleschiano e
inserite nei dieci oculi lì posti; così come non convincono le modifiche
del vano dov’è collocata la tavola dell’Adorazione dei Magi (1488-89)
di Domenico Ghirlandaio, proveniente dall’altare della chiesa di Santa
Maria degli Innocenti: troppo algido per effetto della luce artificiale e
il bianco delle pareti. Ciò contrasta con la Galleria che, nonostante
il progetto l’avesse prevista chiarissima, è all’inverso oscurata
secondo canoni di gusto ormai diffusi che prevedono pareti di supporto
anch’essi neutri e scuri. Coerente con il primo tratto del percorso che
si svolge al piano interrato dove sono esposti ciò che Luciano Bellosi
chiamò «il tessuto connettivo della storia dell’Ospedale», la Galleria
appare disomogenea rispetto agli altri ambienti e spazi (cortili, loggia
coperta o Verone, Salone brunelleschiano, Chiesa) che compongono il
complesso monumentale.
Il progetto museografico si è scontrato con
il difficile compito di connettere la frammentata articolazione degli
spazi derivante da un insieme di funzioni che nei secoli si sono
aggiunte – da asilo per bambini abbandonati a comunità femminile – non
riuscendo a fonderli appieno.
Al piano interrato del museo, si
accede superato l’ingresso che, insieme all’uscita, è prospiciente la
piazza. Si presentano entrambi all’esterno con porte basculanti dorate:
inserti stridenti con il rigore del «sistema visivo» del prospetto
brunelleschiano. In ragione della comunicazione, ogni capriccio è
concesso affinché il «nuovo» possa esprimersi. Non è accaduto anche agli
Uffizi con la monumentale pensilina di Isozaki attorno alla quale dal
1998 assistiamo a una discussione infinita? La scala dell’intervento è
diversa e non paragonabile, ma la questione è sempre la stessa: come
intervenire in un contesto così grondante di storia? Non è un problema
di «ambientamento», ma di sensibilità.
Ritorniamo però alla
preziosa raccolta di testimonianze storiche qui conservate. Dopo i
ritratti, le tele-stendardo – la Madonna degli Innocenti raffigurata con
sotto il suo mantello i bambini già grandi e i più piccoli fasciati con
bende – vari putti, diverse sculture e reliquari, si giunge allo spazio
dei «segni di riconoscimento dei trovatelli»: migliaia di minuti
oggetti, tra messaggi, santini, pietre benefiche, pezzi di corallo,
nastri, rosari, croci che, infilati tra le fasce dei bambini destinati
ad essere abbandonati avrebbero permesso ai genitori di identificarli
qualora fossero tornati a riprenderli. Una parte di questi «segni» sono
contenuti all’interno di cassetti che il visitatore può aprire
Le
altre storie dell’Ospedale sono descritte in video, in immagini (un
album di foto fu eseguito dallo Studio Brogi per presentare l’edificio
all’Esposizione Universale di Parigi del 1900), ma soprattutto in
catalogo (Mandragora) nei testi e nelle schede di Stefano Filipponi,
Eleonora Mazzocchi, Lucia Sandri, Ludovica Sebregondi. Nel 1875 si pose
fine, con la chiusura della ruota, nella quale erano posti i neonati,
alla pratica dell’abbandono anonimo. Lo Spedale si trasforma in
brefotrofio e nel 1890 si aprono nel cortile delle donne le prime tre
sale espositive del museo. Una lunga e straordinaria storia che, grazie
all’impegno dell’Istituto degli Innocenti, sarà da oggi, con maggior
coerenza e ricchezza di contenuti, con più agio raccontata.