giovedì 14 luglio 2016

La Stampa 14.7.16
La sfida a scacchi per prendersi il Salone del Libro
di Cesare Martinetti

Una resa incondizionata: Salone del libro all’associazione editori e lontano dal Lingotto. Anche lontano da Torino? La partita a scacchi è appena cominciata e siccome gli scacchi sono il gioco più violento del mondo - lo ha detto un grande campione come Garry Kasparov - nulla ci sarà risparmiato.
Il comunicato stampa diffuso ieri alla fine dell’incontro Chiamparino-Appendino-editori assomiglia per l’appunto ad una alzata di bandiera bianca da parte delle istituzioni.
A cominciare da quella ambigua formula - «non escludendo ulteriori spazi espositivi» - che sigla il divorzio dal Lingotto e dalla società che ne gestisce gli eventi.
L’inchiesta giudiziaria ha portato all’arresto di tre funzionari. Al di là dall’esito processuale che avrà - colpevoli o non colpevoli - già sancisce quella che appare ora una grave colpa politica: aver lasciato che si formasse un monopolio dentro quel monumento storico che è il Lingotto e intorno a un evento simbolico e riconosciuto come il Salone del libro. Quel «sistema» finito nel mirino e sanzionato dai torinesi con l’elezione di Chiara Appendino ha trovato una sua rappresentazione.
La prova è che la Fondazione per il libro aveva inutilmente cercato di svincolarsi e - se le accuse dei giudici saranno dimostrate - ha finito per rendersene complice. Ma liberarsi si poteva. Lo ha fatto Slow Food, per esempio, che a settembre farà il suo Salone del gusto diffuso per la città e per la prima volta fuori dal Lingotto. Una scelta in linea con la sua cultura e la sua politica, ma anche segno di un’emancipazione dal «prendere o lasciare» di casa nei padiglioni di via Nizza: costi alti, servizi obbligati e non sempre all’altezza. Chi è stato all’ultimo Salone del libro sa che il wifi restava un’avventura dall’esito incerto.
L’attacco dell’Aie - l’associazione degli editori - ha insomma sfondato una porta aperta, per quanto non sia chiaro quanto sia compatto il fronte dell’industria editoriale. C’è una frattura tra Milano e Roma, grandi e piccoli, c’è chi esita a dichiararsi, chi - non dei più piccoli - dice in privato che il Lingotto era un «cappio» anche se alla Fondazione ricordano che gli editori venivano coinvolti fin da ottobre nell’organizzazione di maggio.
Fatto sta che il presidente Motta ha fatto il suo affondo e il sindaco di Milano Sala ha risposto offrendo il dinamismo della sua pratica fieristica al Salone del libro. Il colpo è duro, colpisce nel momento del passaggio dei poteri a Torino. Chiara Appendino ha costruito il suo successo sulla guerra al «sistema» cultura, che era la vetrina e anche per certi aspetti il pensatoio dell’intero sistema di centrosinistra che ha governato dagli Anni Novanta. In più la sindaca grillina deve fare i conti con il suo movimento portatore di posizioni radicali sul diritto d’autore e dunque contro l’establishment culturale. Come risponderà?
Scriveva ieri su La Stampa Luigi La Spina che non è certo una battaglia di campanile quella da combattere, ma una difesa del patrimonio ideale ed economico del Salone. In una appassionata lettera aperta tre anime del Salone - Maria Giulia Brizio, Andrea Gregorio e Marco Pautasso - ricordano che il successo della manifestazione si deve al connubio ibrido tra «promozione commerciale e funzione sociale», mostra mercato alla parigina, la borsa dei diritti (Ibf) tipo Francoforte, diffusione della lettura con iniziative che durano tutto l’anno, nelle biblioteche, nelle scuole e anche nelle carceri.
Questo è il modello che le istituzioni devono difendere. Gli editori vogliono accentuare il modello business? Che lo facciano. Ai politici però tocca dare valore a tutto il senso del modello Torino, non arrendersi a uno sbrigativo formato «milanese» di fiera. Però Chiamparino e Appendino devono dirlo chiaro, non dar l’idea di uscire con le mani alzate dal bunker del Lingotto.