mercoledì 13 luglio 2016

La Stampa 13.7.16
Tutti i dubbi della pagella ai presidi
di Andrea Gavosto

Poco più di un anno fa, mentre infuriava la discussione sulla riforma della Buona Scuola, il ruolo dei dirigenti scolastici era stato oggetto di feroci polemiche a causa dei maggiori poteri che la legge assegnava loro. I lettori ricorderanno: presidi-manager, presidi-sindaci, presidi-sceriffi; etichette spesso lontane dal vero, ma di forte impatto mediatico.
Oggi la questione non suscita più alcun interesse. Ed è un peccato perché in una scuola moderna il ruolo dei presidi è fondamentale. Non solo sul piano della buona organizzazione dell’istituto, che richiede sofisticate capacità di gestione e abilità a relazionarsi con molti e diversi interlocutori: insegnanti, studenti, famiglie, enti del territorio. Ma anche per i risultati di apprendimento dei ragazzi: qualche anno fa una ricerca a cui ha contribuito la Fondazione Agnelli affermava che l’impatto di un buon dirigente scolastico sugli esiti scolastici del proprio istituto è misurabile e significativo.
Una buona occasione per riparlare dei dirigenti scolastici è data da un annuncio del ministero: è stata, infatti, definita una delle deleghe previste dalla Buona Scuola, quella che fissa le regole per la loro valutazione.
La premessa è sacrosanta: presidi con maggiori poteri e autonomia decisionale devono rendere conto del loro operato e vanno pertanto valutati su base regolare secondo criteri trasparenti. E presto lo saranno.
La valutazione dei dirigenti scolastici dovrebbe, più o meno, funzionare così. Ogni capo d’istituto riceverà un incarico triennale dal direttore del proprio ufficio regionale, che fisserà gli obiettivi; ogni anno la sua azione verrà sottoposta al giudizio di un nucleo di ispettori locali, che potranno anche effettuare visite alle scuole; a seconda della pagella, il preside riceverà un premio retributivo variabile, che potrà essere pari a zero in caso di «mancato raggiungimento degli obiettivi». Dalle valutazioni annuali dipenderanno anche le modalità di rinnovo dell’incarico triennale, inclusa l’ipotesi estrema di non rinnovarlo affatto: in questo caso la persona non sarà licenziata, ma messa a disposizione dell’amministrazione, non è chiaro a far cosa. Gli obiettivi del preside saranno di tre tipi: nazionali, stabiliti dal ministero (ad esempio, ridurre la dispersione scolastica); regionali, stabiliti dal direttore regionale (ad esempio, come realizzare su quel territorio l’alternanza scuola-lavoro); infine, di scuola, coerenti con il Rapporto di autovalutazione, che dall’anno scorso ogni istituto deve redigere, e del relativo piano di miglioramento (ad esempio, fare crescere i risultati di apprendimento in matematica).
Sulla carta è un buon punto di partenza, un meccanismo che sembra in grado di controbilanciare i maggiori poteri del preside, facendo piazza pulita delle resistenze - spesso pelose - di chi vi si oppone per timore di abusi.
Qualche perplessità, tuttavia, ci resta. Primo, c’è il rischio di dare peso eccessivo al Rapporto di autovalutazione, al quale lo stesso preside contribuisce. Questi potrebbe avere interesse a fissare per la sua scuola traguardi troppo «facili», così da avere una maggiore probabilità di raggiungerli ed essere positivamente valutato. Per evitare un rischio non così astratto, molto dipenderà dalla capacità del direttore regionale di dare a ciascun preside gli obiettivi «giusti», realistici, ma non troppo laschi o generici. Secondo, perché la valutazione dia un vero incentivo al miglioramento dell’istituto, è necessario che si concentri su azioni di cui il dirigente sia davvero responsabile: altrimenti prevalgono frustrazione o immobilismo. Ad esempio, la legge sulla Buona Scuola dava al dirigente la facoltà di scegliere (scegliere, si badi, non assumere) i nuovi insegnanti di cui la scuola ha bisogno, secondo criteri non di punteggio e, quindi, quasi sempre d’anzianità, ma di adeguatezza agli obiettivi di miglioramento: tali scelte sarebbero l’ovvio oggetto della valutazione. Ma - ecco una cattiva notizia - ministero e sindacati si sono da poco «gattopardescamente» accordati per rispolverare l’antica usanza di un sistema di graduatorie, con requisiti definiti da una tabella titoli a livello nazionale senza alcuna discrezionalità da parte del preside. In breve, la sua possibilità di scegliersi gli insegnanti più adeguati si è ridotta quasi a zero, in contrasto - ci pare - con lo spirito della legge. Ma, se al dirigente è impedito di scegliersi almeno in parte la squadra, come potrà essere giudicato sull’esito della partita?
Direttore della Fondazione Agnelli