La Stampa 13.7.16
Mezzo miliardo di euro l’anno. I danni prodotti da troppo cemento
Mancata produzione agricola, aria più inquinata, perdita di specie vegetali
Per la prima volta stimati i costi (non solo ambientali) del consumo di suolo in Italia
di Luca Mercalli e Giuseppe Salvaggiulo
Cinque
secoli fa Leonardo scriveva che «conosciamo di più il movimento dei
corpi celesti di quanto conosciamo il suolo sotto i nostri piedi». La
situazione fino a pochi anni fa non era cambiata granché, e il suolo era
in generale visto come uno spazio da costruire o da coltivare.
Fortunatamente ora si comincia ad attribuire al suolo una maggior
importanza strategica, per i suoi servizi naturali insostituibili.
Ne
è prova la presentazione oggi a Roma del rapporto «Numeri e costi del
consumo di suolo in Italia» redatto dall’Ispra, l’Istituto Superiore per
la Protezione e la Ricerca Ambientale. Il suolo nazionale
cementificato, cioè sigillato in permanenza da edifici o infrastrutture
di trasporto o industriali, ammonta a circa il 7 per cento. Sembra una
frazione piccola, ma rapportata ai 302mila chilometri quadrati di
territorio italiano corrisponde a 21mila chilometri quadrati,
l’equivalente di poco meno della regione Emilia Romagna. O se volete,
ognuno dei 61 milioni di italiani dispone di circa 5000 metri quadrati
di suolo, dai campi padani alle pietraie d’alta montagna, dei quali 350
sono ormai ricoperti di cemento o asfalto.
Ma ciò che più conta, è
che questi ultimi sono quasi tutti concentrati nelle zone delle pianure
più fertili e irrigue, e sulle coste, ovvero i suoli più preziosi. La
novità dello studio Ispra è quest’anno la quantificazione economica
delle perdite di suolo. Si è stimato il valore monetario dei servizi
ecosistemici offerti dal terreno e sottratti dalla sua
artificializzazione: mancata produzione agricola e forestale, mancata
rimozione di CO2 e particolato inquinante dall’atmosfera, perdita di
biodiversità, alterazione dell’infiltrazione e purificazione dell’acqua
verso le falde, interferenza con i deflussi delle acque superficiali,
peggioramento del microclima urbano per aumento del calore estivo. Se si
prendono ad esempio i dati del Piemonte, si vede come nel solo triennio
2012-2015 sono stati consumati 623 ettari di suolo (pari alla
superficie del comune di Brandizzo) che corrispondono a un costo annuo
di servizi naturali perduti fino a 30 milioni di euro. E’ facile dedurre
che a livello nazionale il totale dei costi annui indotti dalla
cementificazione superi il mezzo miliardo di euro. L’edilizia si lamenta
che la crisi ha fatto crollare gli introiti ma è chiaro che se ci fosse
una ripresa economica e si continuasse sulla scellerata strada del
continuo consumo di suolo vergine, il conflitto tra beni comuni e
profitto diverrebbe insanabile, anche perché, sia pure economicamente
quantificati, i servizi naturali procurati dal suolo in realtà non sono
sostituibili e la loro perdita peggiora la nostra qualità della vita e
genera danni e sofferenze. Attualmente la legislazione italiana non è
ancora attrezzata per difendere il capitale naturale non rinnovabile dei
suoli nazionali: si deve far lavorare sì il comparto edile, ma
incentivando ristrutturazioni, riconversioni e bonifiche di aree
dismesse e penalizzando l’uso di nuovo suolo, un problema ormai comune a
tutta l’Europa occidentale.
Nel frattempo la difesa del suolo è
affidata alle associazioni di cittadini e a singoli amministratori
coraggiosi, come Matilde Casa, sindaco di Lauriano Po, a una trentina di
chilometri da Torino, che tuttavia per aver sottratto un terreno a
rischio idrogeologico all’edificazione si è vista denunciata per abuso
d’ufficio dal proprietario. Dopo due anni di umiliante iter giudiziario è
stata fortunatamente assolta il 7 giugno scorso. L’articolo 9 della
Costituzione recita che la Repubblica tutela il paesaggio: nel 1947 il
consumo di suolo in un’Italia rurale e distrutta dalla guerra non era
certo un problema, oggi però bisognerebbe aggiornarlo, e aggiungerci la
tutela assoluta del suolo, da cui dipendono l’alimentazione e il
benessere fisico nostro e delle generazioni future. Un capitale naturale
che non ha prezzo e che una volta perduto nessuno ci potrà restituire.