mercoledì 13 luglio 2016

La Stampa 13.7.16
I treni appesi a un telefono nell’Italia ad Alta velocità
Il 55% della rete è a binario unico: in Puglia una ferrovia degli Anni 50
L’Agenzia nazionale per la sicurezza non controlla le linee private
di Alessandro Cassinis

Centinaia di vite appese a un filo, quello del telefono. Perché potrebbe essere stata una telefonata sbagliata a far partire uno dei due treni coinvolti in Puglia in uno dei peggiori disastri ferroviari d’Europa. Funziona così: per dare il via libera a un convoglio sul tratto a binario unico, un dirigente del movimento chiede via telefono il consenso a un collega all’altro capo della sezione di blocco. Se qualcuno sbaglia, se un treno parte in anticipo, se un macchinista non rispetta un segnale non c’è più niente da fare. I tecnici usano una sigla spietata: Spad, signal passed at danger, in italiano segnale passato a via impedita. È quasi sempre l’inferno.
Il «bastone pilota»
È presto per sapere che cosa non ha funzionato, ma l’Italia dell’Alta velocità, l’Italia leader nel segnalamento ferroviario, l’Italia che vanta alti indici di sicurezza sui treni è anche questo: la salvezza di lavoratori e studenti pendolari, di turisti e bambini può dipendere da un consenso telefonico, che nel resto del Paese è l’ultimo escamotage in caso di emergenza, da praticare con un protocollo severo, a meno di 30 all’ora e verbalizzando ogni parola. Di più antico c’era solo il telegrafo e, al principio, il «bastone pilota»: un attrezzo che l’omino del posto di blocco consegnava al macchinista solo quando aveva visto passare il treno dalla parte opposta.
Ora è facile prendersela con le ferrovie a binario unico, che gli esperti preferiscono chiamare «semplice binario». L’Italia ne ha 9.161 chilometri su un totale di 16.674, il 55%. Sono la metà in Puglia, il 36,9% in Liguria, il 59,8% in Piemonte, il 53% in Lombardia. Ma in proporzione, la Germania e molti Paesi europei dai servizi ferroviari eccellenti ne hanno anche di più. Il problema è che nel 2016 non ci si può affidare ai «dispacci telefonici» quando in tutta la rete italiana esistono vari sistemi elettrici ed elettronici per bloccare i treni che non rispettano i segnali, i limiti di velocità, le distanze e gli incroci. Da Ruvo a Barletta no, c’era solo il telefono.
Rfi, la società delle Fs che controlla l’hardware delle ferrovie, ossia la rete, ma non ha alcun rapporto con le Ferrovie del Nord Barese, gestite dalla Ferrotramviaria spa in concessione con la Regione Puglia, ricorda che la sicurezza dipende da due fattori: il rispetto delle regole e dei protocolli da parte di tutto il personale di terra e di bordo e le tecnologie. Le più importanti si chiamano Ertms/Etcs per le linee ad Alta velocità e Scmt (Sistema controllo marcia treno) per le linee convenzionali. In pratica, se un macchinista non si adegua ai segnali che dalle rotaie vengono rimbalzati in cabina, il treno si ferma. Da quando la rete è stata coperta interamente da questi sistemi, non ci sono più stati incidenti gravi.
All’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, nata nel 2007 e operativa dall’anno successivo, avvertono che la sua giurisdizione si estende solo sulla rete Rfi, non sulle linee date in concessione ai privati e più spesso alle Regioni. Queste fanno capo direttamente al Ministero dei Trasporti, nella persona del direttore generale Virginio Di Giambattista. Ma il ministero precisa che il suo compito è quello di fare un controllo all’inizio della concessione e una vigilanza periodica, mentre la sicurezza dell’esercizio giorno per giorno spetta alla società concessionaria. Tra Ruvo e Corato il raddoppio era in attesa di finanziamenti, e con il raddoppio l’estensione del segnalamento automatico già presente sul resto della linea. Era troppo chiedere un sistema di segnalamento sul semplice binario prima di fare il raddoppio, come già esiste fra Bari e Fesca-San Girolamo?
Non consola la rassicurazione di Rfi che spaventosi frontali come quello fra Andria e Corato non potrebbero ripetersi sulle linee a semplice binario disseminate in tutta Italia, anche su corridoi strategici e internazionali come la Genova-Ventimiglia. Non basta sapere che il sistema satellitare Ersat per il distanziamento dei treni, sperimentato in Sardegna, potrà controllare e gestire in sicurezza il 45% della rete convenzionale secondaria. Su Internet le associazioni e i paladini dei pendolari soffiano sul fuoco del disastro per denunciare ancora una volta che ci sono treni figli di un dio minore e che la sicurezza non è uguale per tutti. Che abbiano ragione o torto, resta il fatto che una società come la Ferrotramviaria, fondata nel 1937 dal conte Ugo Pasquini e certificata secondo lo standard ISO 9001 dall’ente Dnv, faceva circolare i treni su semplice binario come negli Anni 50.
Scarsi finanziamenti
L’Italia è ancora esposta, in qualche pezzetto della sua accidentata ragnatela ferroviaria, a incidenti come quello del 1985 a Robilante, sulla Cuneo-Ventimiglia, quando un’automotrice in prova si infilò sul binario unico senza rispettare i segnali e il vicecapostazione Piero Giordano la inseguì con la sua auto sulla strada parallela e suonò il clacson disperato per evitare l’impatto con un treno passeggeri, ma non riuscì a farsi sentire: 5 morti e 50 feriti. Vent’anni dopo, a Crevalcore, l’interregionale Verona-Bologna si schiantò contro un merci. Non aveva funzionato un posto di blocco alla Bolognina: 17 morti e 80 feriti. Sembrano storie di un’altra Italia, ma la tragedia di ieri le supera tutte per il numero di vittime e l’apparente assurdità.
Burocrazia e scarsi finanziamenti fanno a gara per ritardare l’ammodernamento delle linee pendolari, che non significa solo più sicurezza, ma anche meno disagi ai passeggeri. Per avere qualche dato basta leggere il rapporto Pendolaria di Legambiente: anche se i passeggeri regionali continuano ad aumentare (+2,4% nel 2015), le linee che frequentano sono le più tagliate (-6,5% dal 2010), le più vecchie (18,6 anni) e le più lente.