mercoledì 13 luglio 2016

La Stampa 13.7.16
L’Ue aveva stanziato 180 milioni
per il raddoppio delle rotaie
La linea Bari-Barletta risale al 1965 ed è gestita dalla società Ferrotramviaria I soldi per la messa in sicurezza ci sono dal 2007 ma non sono stati utilizzati
di Roberto Giovannini

Anche dal punto di vista ferroviario l’Italia è un Paese spaccato in due: una parte della rete sicurissima e modernissima, l’altra rimasta agli Anni 50, l’epoca in cui fu ideato il «blocco telefonico» sulle linee, che operava anche stamani sui 37 chilometri di binario unico da Ruvo a Barletta. Da noi questo sistema - inventato nell’Ottocento, anche se allora usavano il telegrafo per evitare che i treni si scontrassero tra di loro - si può utilizzare. Si può utilizzare perché le tratte «minori», quelle in concessione e non sotto l’egida di Rete Ferroviaria Italiana del gruppo Fs, non sono obbligate a installare i nuovi, imbattibili (e costosi) sistemi di sicurezza.
In Italia la legge permette di modernizzarsi «gradatamente». Peraltro, nel Belpaese, il trasporto pubblico locale è materia regolata dalle Regioni. Sono le Regioni a dover spendere i soldi per migliorare le linee e il servizio; e le Regioni i soldi non ce li hanno. Per cui, come sempre, qualcuno la modernizzazione l’ha effettuata (l’Alto Adige, tra poco la Lombardia); altre non l’hanno mai nemmeno concepita. E così, in Italia è possibile che alcuni cittadini debbano viaggiare in treno con meno garanzie e tutele degli altri.
A rompere questo assurdo era arrivata una Direttiva europea - recepita l’anno scorso nel decreto legislativo 112/2015 - che questa modernizzazione (con gli standard e i controlli della Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria) la imponeva a tutte le reti ferroviarie interconnesse con quelle europee. Soltanto che per far scattare l’obbligo il ministero delle Infrastrutture e Trasporti avrebbe dovuto emanare entro il 15 gennaio scorso un decreto indicando esplicitamente l’elenco delle tratte ferroviarie interessate. Il decreto ministeriale non è arrivato: al dicastero di Delrio dicono che è pronto da novembre, ma intanto ancora non si è visto.
Come non sono mai neppure cominciati i lavori per il raddoppio del binario e per la messa in sicurezza della linea Barletta-Bari. I fondi erano stati abbondantemente stanziati dalla «matrigna» Europa nel programma Fesr del ciclo 2007-2013. Peccato che larga parte di quei 180 milioni siano rimasti lì, inutilizzati.
E quindi, niente doppio binario da Ruvo a Barletta. E quindi, niente blocco automatico di sicurezza per evitare inesorabilmente ogni eventuale «errore umano» commesso da un macchinista o un operatore. E quindi, tra Ruvo di Puglia e Corato, sul binario unico dove i due elettrotreni si sono scontrati, si viaggiava col «blocco telefonico», in cui i «dirigenti movimento» si scambiano messaggi per autorizzare il movimento dei vari treni.
Era il metodo usato anche quel 30 settembre del 1965 in cui il presidente del Consiglio Aldo Moro inaugurò la nuova linea elettrificata da Bari a Barletta. I lavori erano cominciati nel 1948. Anche allora (come oggi) la linea faceva parte delle Ferrovie del Nord Barese, di proprietà della «Ferrotramviaria Spa». È un’azienda privata, controllata dai discendenti del Conte Ugo Pasquini, che nel 1937 si comprò la linea (allora una tranvia). Il presidente è Gloria Pasquini, sorella del finanziere Enrico, condannato per evasione fiscale a San Marino nel 2014. La società, che ha un contratto di servizio con la Regione Puglia per il trasporto locale, è considerata un punto di eccellenza nel campo delle ferrovie in concessione, ed è decisamente redditizia. Il fiore all’occhiello è il treno per l’aeroporto di Bari, costruito sempre con 71 milioni di fondi europei e nazionali. Ci sono voluti quattro anni e due mesi per realizzare un tratto di 7,7 chilometri.
Invece, come si è visto ieri tra Ruvo e Corato, è ancora tutt’altro che realizzato il «Grande progetto» di adeguamento ferroviario del Nord Barese, ideato nel 2007. Un progetto che prevede (tra l’altro) la soppressione di 22 passaggi a livello, la realizzazione di 19 chilometri di ferrovia ristrutturati (di cui 15,137 di raddoppio della linea), due nuove stazioni, tre ammodernamenti di stazioni esistenti e 3,690 chilometri di linea interrata. E, naturalmente, «l’attrezzaggio di tutta la rete con i nuovi sistemi di controllo del traffico e di sicurezza».
Se ne parla dal 2007, ma si sa: in Italia tutto è più difficile. La Regione Puglia - governatore Nichi Vendola - ci ha messo tanto tempo per fare la sua parte. Altro tempo lo ha perso il soggetto attuatore dell’opera, cioè Ferrotramviaria (attraverso la controllata Ferrotramviaria Engineering). E si è anche dovuto spostare sul nuovo ciclo di programmazione del Fesr le risorse.
Fatto sta che nel 2013 erano stati effettuati gli espropri dei terreni; ma da allora sono passati tre anni senza un colpo di vanga o di piccone. E di ritardo in ritardo la gara d’appalto non era mai neanche stata indetta. La scadenza per la presentazione delle domande sarebbe stata il 1 luglio. Ma - giustamente - tutta questa fretta di far partire i lavori sarebbe parsa anomala e fuori luogo. Così, lo scorso 16 giugno Ferrotramviaria ha formalizzato la sua decisione di rinviare il termine per la partecipazione alla gara al 19 luglio. Perché correre?