lunedì 11 luglio 2016

La Stampa 11.7.16
Senato, il voto sugli enti locali banco di prova per Renzi
Per approvare il decreto mercoledì in aula serve la maggioranza assoluta Ncd rassicura ma il Pd teme: stop alle missioni, nessuno deve assentarsi
di Alessandro Di Matteo

La situazione, per ora, sembra tornata sotto controllo, Matteo Renzi è convinto di aver superato le turbolenze del dopo-amministrative, ma bisognerà aspettare il test di mercoledì in Senato per capire se davvero il governo è in grado di tenere almeno fino al referendum. Dovrebbe essere rientrata la minaccia di una decina di senatori centristi di sfilarsi dalla maggioranza, il premier ha avuto rassicurazioni da Angelino Alfano, ma la certezza la avrà solo tra due giorni, quando a palazzo Madama si voterà il disegno di legge che riforma il bilancio degli enti locali. E al leader Pd, raccontano, non dispiacerebbe uscirne con una prova di forza, ovvero dimostrando di avere i numeri anche senza i verdiniani di Ala.
Per approvare il provvedimento, infatti, serve la maggioranza assoluta dei componenti del Senato, perché così vuole l’articolo 81 della Costituzione, quello che parla del bilancio dello Stato e che fissa i criteri guida da seguire in materia di conti pubblici. Su questi temi delicati, è il dettato della Costituzione, non basta la maggioranza dei presenti in aula, è necessaria «maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera», che al Senato è a quota 161. Un’occasione ghiotta per chi vuole sparare qualche colpo di avvertimento al governo e preparare il terreno ad un dopo-Renzi in caso di vittoria del no al referendum.
La maggioranza, in teoria, può contare su 182 voti (sommando Pd, Ap, il gruppo delle Autonomie e anche Ala) ma la scorsa settimana era stato il senatore di Ap Giuseppe Esposito, vicino al capogruppo Renato Schifani, a minacciare la crisi e anche Ala ha fatto sapere di non volere «fare da stampella», senza contare i malumori della minoranza Pd. Tra i centristi, infatti, in particolare, da tempo cova l’insofferenza a causa del rischio di restare fuori dal prossimo Parlamento, perché la nuova legge elettorale voluta da Renzi, l’Italicum, rende molto difficile la vita ai piccoli partiti. Situazione resa ancor più delicata dalle intercettazioni dell’inchiesta Labirinto nelle quali uno degli indagati, tra l’altro, dice che sarebbe merito suo l’assunzione alle Poste di Alessandro Alfano, fratello del ministro dell’Interno.
Renzi, da un lato, ha fatto capire che non tollererebbe un’azione di logoramento e che potrebbe prendere atto di un incidente parlamentare chiedendo di andare al voto già in autunno. Dall’altro, però ha provato a rassicurare: mercoledì scorso ha incontrato Alfano garantendogli il proprio sostegno. Inoltre, dopo aver parlato con il presidente Sergio Mattarella, il leader Pd ha deciso di rendere ancora più esplicite le aperture sulla legge elettorale, che potrebbe essere ritoccata ripristinando il premio alla coalizione, anziché alla lista, dando respiro ai piccoli partiti.
Mosse che hanno spinto Ap a far rientrare le proprie minacce. Il punto, spiega un senatore Pd, «è che lì dentro ormai nessuno ha più il controllo». Anche per questo il Pd ha revocato permessi, missioni, vacanze ai propri, nel tentativo appunto di superare quota 161 anche senza Ala.