La Stampa 10.7.16
Uomini senza onore per tutte le stagioni
di Mimmo Gangemi
Al
procuratore Nicola Gratteri io credo per fede, come succede ai devoti
riguardo i dogmi religiosi. Come me, crede in lui il popolo calabrese,
quello sano. E non si potrebbe diversamente, c’è l’efficienza dei suoi
lunghi anni di trincea, c’è la visione realistica del fenomeno
’ndrangheta, c’è la faticosa dedizione di chi bada al sodo e non ha
bisogno d’inventarsi bufale con cui costruire meriti. E c’è la nascita
aspromontana, nella splendida Gerace.
Solo chi è nato in questa
terra martoriata da uomini d’onore che l’onore non sanno nemmeno cosa
sia – ché di sicuro non c’è nel sangue versato a piene mani, nei
sequestri di persona, nel traffico di droga, di armi, persino di scorie
radioattive seppellite negli stessi luoghi dove loro vivono con le
famiglie! – ha imparato certi meccanismi, certe logiche distorte, sa
cogliere sfumature e dettagli, sa decifrare, è capace di intuizioni
risolutive. Perché ha, suo malgrado, respirato ’ndrangheta, nel senso
che ha avuto occasione di osservarli gli ’ndranghetisti, di coglierne i
modi, le mosse, gli atteggiamenti, di assistere alle parate, di sentir
rimbalzare il gergo e parole con lo stampo, di attingere fiati dalla
stessa aria che quelli infettano, di distinguerli dentro una maggioranza
che è perbene e che spesso ha il solo torto d’esercitare il diritto
d’avere paura.
Ora Gratteri individua un altro nervo scoperto
nella macchina amministrativa della cosa pubblica. Ed è ancora una volta
credibile. È indubbio che c’è una parte non irrilevante di essa che non
funziona a dovere, si rivela spesso incompetente e inadatta,
fraudolenta, non “muore” mai – è sempre la continuazione di se stessa –
uomini per tutte le stagioni, chiunque sia tenere il bastone della
bandiera che svetta più in alto, uomini utili a chi si succede nel
potere, loro stessi potere a fronte d’una politica troppo spesso inetta o
che esprime pochezza, che è debole e si fa condurre docile, senza
produrre idee, progresso, valori di cultura.
Questa macchina
amministrativa taroccata è in qualche misura ’ndrangheta essa stessa, ne
è la propaggine, molti la ’ndrangheta li ha agevolati ad accedere ai
ruoli chiave, perché ne diventassero strumento, con politici per decenni
solleciti a elargire i posti a cassetta su richiesta di un amico o,
peggio, di un amico degli amici a cui non poter opporre un no.
Ad
andare a spulciare nei quadri dirigenziali della Regione, degli enti
pubblici, della sanità troveremmo tanti a cui ha messo il pennacchio il
merito ’ndranghetista e non quello professionale, tanti diventati
dirigenti senza aver vinto il concorso previsto dalla Legge e magari
senza possedere la laurea, o primari ospedalieri cui non ci affideremmo
per un’unghia incarnita. Chiaro che si tratta di favori a rendere: in
qualche maniera dovranno sdebitarsi con chi ha consentito che
succedesse, “dovranno togliersi l’obbligazione”, per dirla in gergo. A
discapito della collettività.