La Stampa 1.7.16
Guerra sul portavoce, il direttorio M5S teme una Raggi troppo autonoma
A rischio l’uomo che ha gestito la campagna della sindaca
È considerato troppo indipendente dalla cordata centrale
di Jacopo Iacoboni
Di
solito, per consuetudine e anche per logica, il sindaco di Roma fa due
nomine quasi sempre contestualmente: il capo di gabinetto e il
portavoce. Sono due ruoli fortemente politici, due veri bracci destri
del sindaco, un po’ come nei giornali il vicedirettore e il
caporedattore centrale. Invece ieri l’altro Virginia Raggi ha nominato
soltanto il capo di gabinetto, Daniele Frongia. Come mai, cosa sta
succedendo? La Stampa può raccontarlo con precisione: si è aperta una
feroce guerra interna sulla nomina del portavoce. Una guerra la cui
posta in gioco va molto oltre una persona, e riguarda il timore di fondo
del direttorio M5S: non è che Virginia Raggi finisce per diventare
troppo autonoma dal gruppo-Di Maio? Intelligente, dotata di abilità di
mediazione e anche, oggettivamente, di relazioni notevoli, sarebbe un
alter ego sempre più scomodo per l’aspirante candidato premier.
Raggi
ha già puntato i piedi su Daniele Frongia, che era vissuto dagli
avversari interni del sindaco - l’asse che da Roberta Lombardi porta
dritto a Luigi Di Maio - come personaggio troppo autonomo, e troppo in
sintonia con Virginia. Se Virginia portasse a casa adesso anche un
portavoce estraneo alla cordata Lombardi-direttorio, dotato di capacità e
indipendenza, la sua autonomia ne risulterebbe raddoppiata. Morale: la
cordata centrale che da Di Maio scende fino a Roberta Lombardi sta
riuscendo a far fuori il candidato naturale a portavoce della Raggi.
Intanto raccontiamo chi è; e poi diremo come vogliono silurarlo.
Si
chiama Augusto Rubei, è un giovane romano di borgata, nato a San
Basilio da genitori che vendevano il formaggio, e neanche avevano
pensato di farlo studiare. Rubei ha studiato da solo, si è laureato in
scienze della comunicazione - tra i suoi professori di master c’è stato
anche Gianfranco Astori, oggi consigliere di Sergio Mattarella - ha
lavorato per diverse agenzie di stampa, e poi come ghostwriter politico,
prima di essere assunto nell’ufficio comunicazione del Movimento alla
Camera, in una stagione ormai remota in tutti i sensi. Rubei è un tipo
fumantino, come molti di quelli venuti su da soli. La grande costruzione
mediatica della Raggi in questa campagna elettorale si deve a lui, come
si deve a lui la scelta di incassare in silenzio nei momenti più
sfavorevoli alla Raggi (per esempio la vicenda dello studio Previti, o
le consulenze che riconducevano al giro Panzironi), per affermare poi un
volto spigliato, fresco, e non contaminato da scivolate.
Obiettivamente, la strategia ha funzionato.
Come tentano, i suoi
avversari, di farlo fuori, e chi sono? Il braccio dell’operazione è
Rocco Casalino, l’ex del Grande Fratello, finito poi a guidare la
comunicazione del M5S. La modalità è stata semplice: è stata fatta
ripetutamente pervenire, al team degli amici fidati della Raggi (non
sono tantissimi) la frase (testuale) «Rubei non lavora per Virginia,
lavora per altri, è un uomo di Loquenzi-Lombardi». Una cosa non vera
anche solo logicamente, perché Ilaria Loquenzi (la sempre vacillante
capa della comunicazione cinque stelle alla Camera) non è stata mai
amata neanche dai deputati M5S - che volevano sfiduciarla - figurarsi se
può guidare una persona come Rubei, o fare da tramite tra lui e l’asse
Lombardi-direttorio. Poi sono state molto enfatizzate - e raccontate a
ondate - un paio di occasioni in cui Rubei ha detto pubblicamente alla
Raggi che non era d’accordo con alcune scelte. Insomma, si è costruita
addosso a Rubei un’immagine non veritiera. Raggi tuttora lo stima molto;
sa che il tandem ha funzionato, e aveva pensato di nominarlo, magari
come capo ufficio stampa, un ruolo non politico, rispetto al portavoce.
Ma certo, come diceva uno che se ne intendeva, ripeti un bugia dieci,
cento, o più volte, e diventerà verità. O almeno ha insinuato un tarlo
in Virginia.
La cordata da Lombardi a Di Maio chi vorrebbe al
posto di Rubei? L’ideale sarebbe uno dei «Rocco boys», personaggi
selezionati da Casalino - e ora nello staff comunicazione del Senato,
dove non manca financo un disegnatore di costumi da uomo - che darebbero
agli avversari della Raggi la certezza di controllarne ogni mossa,
riferirla in tempo reale agli altri, e insomma: più che un portavoce, un
agente del nemico. La partita è indirizzata, ma non chiusa. Sarà
interessante vedere come andrà a finire perché ne dipende un pezzo
dell’autonomia di Virginia da chi vorrebbe commissariarla.