Il Sole Domenica 3.7.16
Grande Guerra / 1
Donne «combattenti»
Crocerossine,
operaie, impiegate, a casa a cucire gli abiti militari, curve dalla
fatica nei campi: così hanno partecipato in massa al conflitto
Ci
sono foto dove si vedono donne che in Francia, in Germania, in Gran
Bretagna, in Austria, accompagnano i soldati in partenza per il fronte
nell’estate del 1914. Sono donne anziane, adulte, giovani, fanciulle,
bambine: madri, spose, sorelle, fidanzate o figlie degli uomini
mobilitati per la guerra. Molte sorridono come i loro uomini in marcia,
mentre altre donne lanciano fiori al loro passaggio. Poi, negli anni
successivi della guerra, le foto mostrano donne in abiti bianchi con la
croce rossa che assistono militari feriti e mutilati; donne in tuta
nelle fabbriche che costruiscono armi e proiettili; donne impiegate
negli uffici, alla guida di automezzi, nelle mense, nelle stazioni di
ristoro, nell’assistenza alle famiglie del soldati, e anche nelle
manifestazioni di propaganda. Ci sono alcune foto di donne in armi che
in qualche esercito combatterono a fianco degli uomini. E poi ci sono,
più numerose, le foto delle donne che lavorano a casa per cucire abiti
militari, e molte altre curve nelle fatiche dei campi e degli
allevamenti, più di quanto avessero mai fatto in passato, perché tutti
gli uomini validi erano al fronte e vi rimasero per anni. E infine, ci
sono le foto di donne in lutto, madri, spose, sorelle e figlie dei
caduti, dolorosi simboli viventi della tragedia della guerra, che
travolse l’esistenza di milioni di famiglie colpite dalla morte di un
congiunto al fronte, quotidianamente paventata per mesi e anni.
Per
quasi un secolo, il coinvolgimento delle donne nella Grande Guerra è
stato ricordato da queste immagini, mentre è stato trascurato dalla
storiografia impegnata a studiare la Grande Guerra esclusivamente come
esperienza maschile di generali e soldati. Solo da qualche decennio, il
ruolo delle donne nel primo conflitto mondiale è oggetto di ricerca,
soprattutto da parte delle storiche. I loro studi hanno dimostrato
quanto sia stata ampia, varia, multiforme e soprattutto importante la
partecipazione femminile alla tragedia del primo conflitto mondiale, sia
sul fronte dell’adesione sia sul fronte dell’opposizione alla guerra.
Lo confermano, per l’Italia, i saggi pubblicati nel libro La Grande
Guerra delle italiane, dissodando campi inesplorati o poco conosciuti
delle esperienze delle donne, coinvolte inevitabilmente nella guerra
totale.
La retorica nazionalista esaltava la guerra come sublime e
eroica esperienza di mascolinità: in realtà la Grande Guerra fu la
prima esperienza di massa di una virilità bellica assistita dalla
femminilità: senza la collaborazione delle donne, nessun Paese in guerra
avrebbe potuto resistere dopo i primi mesi di combattimento. La Grande
Guerra fu combattuta dagli uomini, ma senza l’attiva assistenza delle
donne, ai soldati sarebbero mancate non solo le cure negli ospedali, le
armi e i proiettili, ma persino le divise. La Grande Guerra fu
esperienza collettiva di uomini e di donne, trascinati in un comune
destino di vita e di morte.
Proviamo a immaginare cosa sarebbe
accaduto se milioni di donne, fin dall’estate del 1914, in tutti i Paesi
belligeranti, si fossero sollevate per impedire ai loro uomini di
partire per il fronte; oppure se avessero deciso, nel prosieguo della
guerra, di non prestare alcuna opera, non fare alcun lavoro, non
svolgere alcun compito necessario a prolungare il confitto. Questo
immaginò lo scrittore ungherese Andrea Latzko, che combatté sul fronte
italiano dove fu gravemente ferito, nel racconto della sua esperienza
bellica intitolato Uomini in guerra, pubblicato nel 1921. Latzko faceva
pronunciare a un ufficiale ricoverato per «una grave scossa di nervi»
provocata dall’orrore della guerra, un’invettiva contro la moglie, che
cercava di assisterlo amorosamente, e contro tutte le donne, perché
avevano lasciato andare i loro uomini in guerra. Non la crudeltà della
guerra era stata per lui una sorpresa, urla l’ufficiale, perché «la
guerra è come dev’essere …. Che le donne siano crudeli, ecco la sorpresa
… Che esse possano sorridere e gettar rose; che esse possano dar via i
loro mariti, i loro figli, i loro ragazzi …. Le donne ci han mandati al
fronte! Nessun generale avrebbe potuto far qualcosa, se le donne non ci
avessero cacciati nei treni, se esse avessero gridato che non ci
guardavano più in faccia se diventavamo assassini». Imprecando
l’ufficiale menzionava le suffragette che avevano schiaffeggiato
ministri e incendiato musei per avere il diritto di voto, ma per i loro
mariti «non un grido! … Ha forse mai una donna schiaffeggiato per noi i
ministri, o si è mai aggrappata alle rotaie? … Neppure una ha lottato,
neppure una ci ha difesi. Neppure una si è mossa in tutto il mondo».
La
copia del libro di Latzko dal quale ho tratto la citazione ha una
dedica autografa dell’autore a «Madame Anita Dobelli Zampetti plein de
reconnaissance et admiration. Niederalm 1922». Non sappiamo cosa abbia
pensato dell’invettiva contro le donne la signora Dobelli Zampetti, una
dirigente del movimento femminista italiano, suffragista e pacifista,
che, diversamente da gran parte delle femministe di altri Paesi, non si
convertì all’interventismo, come è ricordato in uno dei saggi de La
Grande Guerra delle italiane.
All’inizio del ventesimo secolo il
movimento per l’emancipazione femminile nella politica, nel lavoro e
nella società, era stato percepito come una grave minaccia al predominio
maschile, simboleggiato nella virilità dell’uomo marziale, il soldato
dello Stato nazionale. Intellettuali e politici auspicarono
l’eventualità di una nuova guerra come un mezzo per contrastare il
femminismo, rigenerare la mascolinità e riaffermare il primato dell’uomo
marziale. Invece, durante la Grande Guerra, la mobilitazione delle
donne per sostenere lo sforzo bellico fu equivalente alla mobilitazione
degli uomini sul campo di battaglia. La famiglia, l’ospedale,
l’industria, la campagna, l’ufficio, il trasporto, le poste, il servizio
pubblico furono i campi di battaglia delle donne. E innumerevoli furono
le morti e le violenze patite dalle donne nelle zone di guerra e di
occupazione. L’emancipazione era la ricompensa che molte donne speravano
dal loro contributo alla guerra dell’uomo marziale. Invece, per milioni
di donne la ricompensa fu il ripristino della soggezione domestica. Ci
volle un’altra e più grande guerra mondiale, con un più intenso
coinvolgimento delle donne e un più alto tributo di vittime femminili,
per imprimere una irreversibile accelerazione alla emancipazione della
donna nel mondo occidentale.
La Grande Guerra delle italiane.
Mobilitazioni, diritti, trasformazioni , a cura di Stefania Bartoloni,
Viella, Roma, pagg. 378, € 29
Emilio Gentile