domenica 17 luglio 2016

Il Sole Domenica 17.7.16
Adam Smith, la Cina e il dito mignolo
di Armando Massarenti

Ronald Coase, Nobel per l’economia per i suoi studi sui costi di transazione e i diritti di proprietà, nel suo discorso di conferimento del premio, nel 1991, descrive gli ultimi due secoli della storia della dottrina economica come una serie di progressi nel formalizzare alcune intuizioni della teoria di Adam Smith, tra cui quella contenuta nella Ricchezza delle nazioni che «riguardava il ruolo della regolazione statale e della pianificazione centralizzata, che secondo Smith non sono necessarie per far sì che un sistema economico funzioni in modo ordinato: l’economia può essere coordinata da un sistema di prezzi (la “mano invisibile”) e, per giunta, con esiti positivi». A far funzionare questo meccanismo vi è il cosiddetto homo economicus, guidato dal conseguimento del proprio interesse individuale. Sono cose notissime ma leggendo lo splendido volume di scritti pubblicato da poco per le edizioni dell’istituto Bruno Leoni, Sull’economia e sugli economisti, vediamo Coase trasformare magicamente anche i temi più classici in punti di vista penetranti e sorprendenti. Nel saggio Sulla visione dell’uomo di Adam Smith Coase si sofferma sul l’osservazione, contenuta nella Teoria dei sentimenti morali, secondo cui «la perdita o il guadagno di un piccolissimo nostro interesse sembra molto più importante, suscita una gioia o una sofferenza più appassionate, un desiderio o un’avversione molto più ardente, che la più grande preoccupazione di qualcuno con il quale non abbiamo particolari legami». E fa un esempio ipotetico: «Supponiamo che il grande impero cinese, con tutte le sue miriadi di abitanti, fosse all’improvviso inghiottito da un terremoto, e pensiamo a come rimarrebbe colpito un europeo dotato di un senso di umanità, che non avesse alcun legame con quella parte del mondo, nel venire a sapere di questa terribile calamità». Ne rimarrebbe certo colpito. Ma una volta espressi tutti i suoi più profondi sentimenti d’umanità, «tornerebbe ai suoi affari o al divertimento, riprenderebbe il suo riposo o il suo svago con lo stesso agio e tranquillità di prima, come se nessuna simile catastrofe fosse accaduta. Il minimo guaio che dovesse capitare a lui provocherebbe un disturbo più reale. Se sapesse di dover perdere il suo dito mignolo l’indomani, la notte non dormirebbe, ma, a patto che non li abbia mai visti, russerebbe profondamente e tranquillamente sulla rovina di cento milioni di suoi fratelli, e la distruzione di quell’immensa moltitudine gli sembrerebbe ovviamente un oggetto meno interessante della sua irrisoria disgrazia». Inutile dire quanto questo atteggiamento sia visibile oggi al cospetto di una esposizione permanente di disgrazie immani che ci si palesano tramite i media. Ma il ragionamento di Smith è più sottile. Egli rovescia il caso e lo trasforma in un esperimento mentale. Supponiamo che fosse possibile prevenire la perdita di queste centinaia di milioni di vite sacrificando il proprio dito mignolo. Un uomo dotato di umanità si rifiuterebbe di fare quel sacrificio? No, certo. Tuttavia «non è l’amore per il genere umano ciò che lo rende pronto a fare quel sacrificio - spiega Coase - ma il fatto che egli vede se stesso attraverso gli occhi di uno spettatore imparziale. Se avesse scelto di tenersi il mignolo lasciando morire cento milioni di persone, non sarebbe stato capace di vivere con se stesso. Noi vogliamo sembrare persone degne, ai nostri stessi occhi». L’economista che spiega i comportamenti autointeressati dell’homo economicus vive in perfetta contiguità con il filosofo morale che spiega il sia pur fragile modo in cui nelle cose umane il bene può trionfare sul male.