Il Sole Domenica 10.7.16
Scienza e politica
La ricerca non riceve ordini
di Gilberto Corbellini
Per
chi studia la scienza da una prospettiva storica e filosofica, la
vicenda italiana Human Technopole è ricca di spunti per così dire
didattici. Nel senso che si presta a illustrare perché si sono diffuse
talune idee e pratiche sul modo migliore di fare scienza. La libertà
della ricerca scientifica non è un capriccio degli scienziati, da almeno
un secolo e mezzo la condizione necessaria in tutte le democrazie
liberali per l’avanzamento delle conoscenze e dell’innovazione.
Storicamente gli enti sottoposti a un controllo politico non sono mai
risultati competitivi.
È singolare, quindi, che nel dibattito in
corso sulla vicenda Human Technopole nessuno abbia commentato la
giustificazione del direttore scientifico di IIT, Roberto Cingolani, per
aver guidato la stesura del progetto per il riuso dell’area milanese
post-Expo in modi non competitivi e poco trasparenti. Cingolani ha
dichiarato in diverse interviste di essere «solo» un «funzionario
pubblico» e in quanto tale tenuto a «obbedire»; si è paragonato a un
«soldato» sostenendo che IIT (beneficiario di «un primo contributo di 80
milioni») ha ricevuto un «incarico» di scrivere «solo un master plan»
(in realtà la legge parla di «progetto esecutivo»); e a tale richiesta
egli non poteva dire di no. Egli, però, non ha sempre ubbidito al
Governo. Nel gennaio 2015, infatti, prospettò le dimissioni se il
Governo non avesse rivisto la norma del decreto-legge Investment
Compact; che trasformava IIT in un ente dedicato a commercializzare i
brevetti italiani. In quel caso non criticò la reazione degli atenei e
del CNR di fronte a tale assurda proposta, ma si adoperò affinché il
governo rimediasse. Cingolani non si considera burocrate, ma dice di
appartenere alla comunità scientifica. Ma allora egli pensa che la
scienza si debba piegare per motivi di opportunità alle logiche del
potere politico?
Siamo all’antitesi della scienza, per intenderci.
Il direttore scientifico di IIT dovrebbe sciogliere questa ambiguità o
spiegare cosa intende dire quando afferma di essere «un soldato». È
singolare che a un fisico, quale è Cingolani, non venga in mente che
esiste una retorica che vede nella vicenda di Galileo Galilei l’esempio
di quel che significa sottomettersi al potere, pur sapendo che quel
potere sbaglia. Ed egli dovrebbe conoscere, dato che i tempi sono più
recenti, le drammatiche conseguenze per la scienza statunitense delle
decisioni dell’amministrazione George W. Bush (creazionista, prolife,
sessuofobo, eccetera) in merito agli investimenti e agli obiettivi della
ricerca biomedica. A quegli ordini politici si piegarono cinicamente
diversi scienziati statunitensi e il premio Nobel Elizabeth Blackburn
stigmatizzò duramente tale deriva opportunista in un famoso articolo sul
«New England Journal of Medicine». Così come «Science» parlò in un
editoriale di un’«epidemia di politica» che stava avvelenando la
scienza. Il direttore scientifico di IIT dovrebbe riflettere meglio
prima di giustificare il proprio operato con argomenti che, se
possibile, peggiorano lo scenario già poco rassicurante che caratterizza
la vicenda HT. Intanto perché il compito di un funzionario dello stato –
e anche di un soldato –, può essere sì anche quello di eseguire gli
ordini del potere politico, ma il primo dovere in una democrazia
costituzionale come la nostra è di assicurarsi che le direttive cui si
obbedisce siano conformi ai princìpi della Costituzione, nel cui nome
quel potere è esercitato.
Questi principi, nella fattispecie,
raccomandano che le tasse dei cittadini siano investite al meglio.
Quando poi si parla di condurre o progettare un’attività di ricerca e
innovazione esistono buone pratiche internazionali riassumibili in tre
parole: libertà, competizione e indipendenza (niente conflitti di
interesse). Se non si rispettano questi valori si finisce per fare come
quei soldati che hanno agito in modi eticamente censurabili
“semplicemente” eseguendo gli ordini dei loro superiori.