Il Sole Domenica 10.7.16
Splendori enciclopedici dello Zohar
di Giulio Busi
Provate
a immaginare uno specchio, a cui vi affacciate in cerca del vostro vero
sembiante. Quello che vi appare, così voi siete. Se siete stanchi,
anche l’immagine sembrerà provata. Se vi sentite felici, lo specchio vi
restituirà un sorriso. Al posto di un vetro, pensate ora di cercare il
vostro volto in un libro. Il volume sarà triste nei giorni bui, e avrà
pagine luminose quando vi torna forza e fiducia. Il Sefer ha-zohar, «Il
libro dello splendore» è stato per secoli, per alcuni è ancora, uno
specchio fatto di parole. È il più famoso e influente capolavoro del
misticismo ebraico, ma è anche una superficie misteriosa, capace di
riflettere il volto gioioso e quello tragico della diaspora.
Protagonisti del racconto, che si estende per centinaia e centinaia di
pagine, aspre e profonde, sono rabbi dai gusti difficili. Passano giorni
a discutere su di una manciata di frasi bibliche, si accalorano,
piangono quando non capiscono, si esaltano se trovano un’interpretazione
nuova, mai tentata prima. Per quanto ne sappiamo, questa enigmatica
enciclopedia dello scibile celeste viene dalla Penisola iberica. È stata
assemblata nel tardo Duecento, frutto di veglie febbrili e della
solitudine di un piccolissimo gruppo di studiosi. Di grande cultura e di
mezzi modesti, discriminati come ebrei nella società cristiana, e
probabilmente isolati, a causa delle loro idee mistiche, anche
all’interno della comunità ebraica, questi visionari medievali si sono
immaginati un mondo in cui è fondamentale capire, discutere, scoprire.
«La Torah è come un sogno che debba essere interpretato» . Lo Zohar
cerca di realizzare una simile interpretazione, e del sogno riproduce le
forme labirintiche e il senso di spaesamento. Tradurre dall’aramaico e
dall’ebraico una foresta così folta di simboli è compito improbo, che
richiede quasi altrettanta passione di quella spesa, secoli fa, da chi
queste pagine le inventò per la prima volta. La monumentale traduzione
inglese dello Zohar, la prima completa e affidabile mai tentata in una
lingua moderna, è ora quasi completata. Il decimo volume, uscito in
questi giorni, affronta il Midrash ha-ne’lam, «Il commento nascosto», il
nucleo iniziale da cui è germinato il resto del libro. Nato come
prodotto quasi clandestino, destinato a una cerchia ristretta, lo Zohar
si diffuse poi, nei secoli seguenti, sino a assumere il ruolo di guida
della spiritualità giudaica tra Cinque e Seicento. Era l’età del ghetto e
della segregazione fisica, e gli spazi liberi del mondo divino
servirono a molti come consolazione alle angustie quotidiane. Se cercate
uno specchio dell’anima, questo libro saturo di speranze e disillusioni
potrebbe fare al caso vostro.
The Zohar , Pritzker Edition, vol. 10, Traduzione e commento di Nathan Wolski, Stanford UP, Stanford, pagg. 656, € 69