sabato 16 luglio 2016

Il Sole 16.7.16
Referendum. Il premier interverrà in prima persona solo nella fase finale - A quota 2mila i comitati spontanei per il Sì
Renzi verso campagna soft, la minoranza lancia il Mattarellum corretto
di Emilia Patta

«Ogni giorno che passa diventa più chiaro che il referendum è sulla Costituzione, sulle compentenze delle Regioni, sul funzionamento del Parlamento e non su altro: questo ci aiuta molto a crescere nei consensi, coinvolgendo anche persone che magari non sono del Pd o non sono mie sostenitrici ma che capiscono la rilevanza storica di questo passaggio per l’Italia». Ecco, è tutta in questa frase contenuta nella e-news di ieri - naturalmente dedicata per la maggior parte alla strage di Nizza - la strategia di Matteo Renzi in vista del referendum d’autunno (6 novembre, o più probabilmente il 20 per via dell’intreccio con la manovra finanziaria): prendere tutte le distanze politiche possibili dall’evento smettendola con il mantra dei mesi scorsi «se perdo il referendum mi dimetto».
È già qualche settimana - per la verità - che il premier e segretario del Pd, consigliato in questo senso anche dal presidente emerito Giorgio Napolitano e dal consigliere statunitense arruolato in vista del referendum Jim Messina, tenta di spersonalizzare il voto referendario valorizzando il merito della riforma Boschi: riduzione del personale politico e conseguente riduzione dei costi della politica, iter delle leggi più veloce con l’abolizione del Senato elettivo, ritorno allo Stato di molte competenze strategiche per lo sviluppo del Paese. Il tutto all’insegna dello slogan “un Paese più semplice, una politica meno costosa”. Fare un passo di lato, insomma, e far parlare il merito. In questo senso è fondamentale il porta a porta, come suggerito anche dal guru americano Messina sul modello della campagna di Obama del 2012 e come già stanno facendo i 2mila comitati “spontanei” nati finora (escludendo la rete dei circoli di partito). A Palazzo Chigi hanno già registrato i primi frutti dei toni più morbidi usati dal premier nelle ultime settimane, se è vero che nei sondaggi il “sì” è tornato leggermente avanti al “no”. «A dispetto dell’allarmismo di alcuni, il comitato “Basta un sì” ha depositato circa 600mila firme in Corte di Cassazione» - ricorda con soddisfazione Renzi nella sua e-news sottolineando di contro il fallimento della raccolta firme da parte del Comitato per il No. È di ieri, inoltre, la notizia ufficiale che i promotori dello spacchettamento in più quesiti non sono riusciti a raccogliere le 200 firme di parlamentari necessarie: vista da Palazzo Chigi, una complicazione in meno sulla strada del referendum.
Quanto all’impegno diretto dei big nella campagna referendaria, per molti dirigenti del Pd il tour è già iniziato, a partire dalla ministra per le Riforme Maria Elena Boschi: ieri Civitanova, oggi Pescara e domenica Termoli. «E sarà così per quasi tutti i fine settimana», sottolineano i suoi collaboratori. Certo, per l’affondo finale si attende la ripresa della stagione televisiva, a settembre inoltrato. Anche perché partire troppo presto con le “armi pesanti” può essere controproducente, come in ogni battaglia. Sembra tramontata, invece, l’idea di nominare un “portavoce” tecnico - si era pensato a un giovane costituzionalista - con il compito di spiegare nel merito la riforma nei dibattiti tv. La partita è politica, e con le carte della politica verrà giocata. Intanto il Comitato nazionale per il Sì avrà sede in piazza Santi Apostoli, luogo simbolo delle vittorie di Prodi contro Berlusconi.
Il tentativo di spersonalizzazione del referendum da parte di Renzi è stato apprezzato dalla minoranza interna del Pd («Nessuno di noi vuole che Renzi lasci il governo, non vedo rischi di instabilità per il governo», ha detto non a caso Pier Luigi Bersani nella sua recente intervista a Die Zeit). Eppure non si placa il pressing per cambiare l’Italicum, che secondo la sinistra dem «in combinato disposto» con la riforma costituzionale porta nel sistema rischi di autoritarismo. Martedì la minoranza, nelle persone del deputato Andrea Giorgis e del senatore Federico Formaro, presenterà una proposta alternativa. Non si tratta di semplici modifiche all’Italicum, specificano i proponenti, ma di un modello alternativo. Niente premio alla coalizione invece che alla lista, insomma, e niente doppio turno di collegio che pure è la proposta storica del Pd. Dovrebbe trattarsi, sulla scia di quando scritto sulle nostre colonne dal senatore bersaniano Miguel Gotor il 28 giugno scorso, di un Mattarellum “corretto” con una più ampia percentuale di voto proporzionale a scapito della percentuale di collegi uninominali e con un premio di maggioranza alla lista o alla coalizione vincente a livello nazionale.