Il Sole 14.7.16
Cina e Ue, gruppo di lavoro sull’acciaio
di Rita Fatiguso
Il premier Li Keqiang: «Produzione tagliata di 150 milioni di tonnellate nei prossimi anni»
Al
termine di due intense giornate di incontri e lavori, tra Summit e
Business Forum Europa-Cina, i leader europei hanno dichiarato di aver
concordato con la Cina la creazione di un gruppo di lavoro per discutere
dell’overcapacity dell’acciaio, da collegare all’eventualità che
l’Europa conceda lo status di economia di mercato alla Cina alla fine
del 2016.
È la diretta conseguenza del trionfo del tema
overcapacity in ogni discorso e intervento, sia di europei sia di
cinesi, durante i lavori. Il tema di quella che è considerata la
principale malattia del sistema produttivo cinese ha regnato sovrano
nelle stanze della Great Hall of People.
Con l’effetto di forzare i
leader a trovare un accordo, almeno di fatto, sulla riduzione della
produzione in eccesso. Durante lo stesso Summit le cifre diffuse sui
tagli effettuati divergevano non poco, a seconda della prospettiva,
l’una dall’altra.
Certamente la Cina dovrà andare incontro a
dolorosi aggiustamenti nel settore dell’acciaio. Il presidente della
Commissione europea Jean-Claude Juncker lo ha detto al mattino nel
discorso inaugurale ieri del Business Forum, l’11esimo, e lo ha ribadito
qualche ora dopo in conferenza stampa: «Siamo qui per discutere le
differenze in maniera amichevole, non sempre è semplice. La
sovrapproduzione del settore è un problema serio», ha aggiunto,
«attualmente quella annua di acciaio cinese è il doppio di quella
europea, con ricadute importanti sul mercato del lavoro nei Paesi
dell’Unione. Il problema ha anche un chiaro legame con il
riconoscimento, ancora non avvenuto, da parte dell’Unione europea, della
Cina come economia di mercato. Ma le regole del mercato devono essere
applicate e i cinesi sanno esattamente che questo, in termini concreti,
significa esattamente la chiusura delle acciaierie».
Il gruppo di
lavoro congiunto dovrà monitorare i prezzi e flussi commerciali,
discutere i problemi di eccesso di capacità e garantire che le decisioni
annunciate da entrambi i lati possano essere, appunto, «verificate
nella realtà». I dati cinesi mostrano che le esportazioni cinesi di
acciaio verso l’Unione europea sono aumentate del 28% nel primo
trimestre, mentre i prezzi sono scesi del 31%.
Per parte cinese il
discorso più realistico è stato quello del primo ministro Li Keqiang,
secondo il quale «la Cina continuerà a sostenere l’Unione europea, non
importa quanto la situazione internazionale possa cambiare». Per Li
l’economia cinese è sulla buona strada per raggiungere i suoi obiettivi
principali fissati per quest’anno, con una crescita del secondo
trimestre che rischia di essere vicina al livello del 6,7% del primo
trimestre. Ma gli economisti si aspettano una discesa al di sotto del
livello del trimestre gennaio-marzo, già il ritmo più lento dalla crisi
finanziaria globale nel 2008.
Il premier ha però difeso la Cina
dalle accuse di esportare acciaio e altre materie prime sottocosto. «La
Cina prevede di tagliare fino a 150 milioni di tonnellate di eccesso di
capacità nel corso dei prossimi anni, di cui 45 milioni di tonnellate
quest’anno dal settore siderurgico - ha detto Li Keqiang -, aggiungendo
che si tratta di un problema globale e non di un solo Paese. Noi non ci
impegniamo in dumping e sovvenzioni per guadagnare forza competitiva».
Dati che divergono con una serie di altre rilevazioni, anzi c’è chi
obietta che le lavorazioni dell’acciaio vengono semplicemente spostate
in altre aree del Paese, riproducendo le stesse problematiche delle
quali oggi si cerca di intravvedere una soluzione.
La situazione,
infatti, non è per nulla semplice, per la Cina. Proprio ieri sono state
diffuse le statistiche sull’export e l’import che segnano un forte
arretramento a giugno, a dimostrazione che l’economia è in una fase di
rallentamento. Le esportazioni scendono del 4,8% e le importazioni
dell’8,4%, mentre il surplus commerciale sale a 48,1 miliardi di
dollari.
«È il passo troppo lento delle riforme», come ha ribadito
nel suo discorso Emma Marcegaglia presidente di BusinessEurope,
puntando il dito contro i tempi eccessivamente lunghi delle decisioni
cinesi. «Le free trade zone spuntate come funghi sono un esempio di
incompiute», dice Carlo D’Andrea vicepresidente della Camera di
commercio europea che le ha studiate a fondo. Del resto, proprio le zone
franche avrebbero dovuto far da volano al cambiamento e alla
conversione dell’economia, dal modello statale a quella più orientata al
mercato, ma le difficoltà sono più che evidenti. Senza il nuovo che
avanza, la Cina resta aggrappata al passato, alla sua produzione di
acciaio che è pari a quasi la metà della produzione globale.
Non
desta meraviglia il fatto che il Dipartimento statunitense del Commercio
sia tornato alla carica sui laminati inox made in China accusati di
essere sovvenzionati dal Governo.
Il commissario europeo per il
Commercio Cecilia Malmström, ha detto che Pechino dovrebbe eliminare del
tutto le sovvenzioni statali per le imprese, aprire i suoi mercati e
ovviamente ridurre l’eccesso di capacità.
Gli Stati Uniti dal
canto loro stanno istruendo una pratica all’Organizzazione mondiale del
commercio contro la Cina sostenendo che le tasse che i cinesi impongono
sulle materie prime all’esportazione mettono i produttori statunitensi
in netto svantaggio.
«Sono il tentativo della Cina di ingannare il
sistema in modo tale che le materie prime siano più convenienti per i
loro produttori e più costose per i nostri», ha replicato il
responsabile americano del commercio Michael Froman. La Cina impone dazi
dal 5 al 20% a un gruppo di nove materie prime tra cui il cobalto, il
rame e la grafite. Secondo gli Stati Uniti, la Cina avrebbe dovuto
eliminare queste duty dopo il suo ingresso nell’Organizzazione mondiale
del commercio nel 2001, ma non lo ha fatto.
Di commercio si parla molto anche in America, la campagna elettorale è praticamente dominata da questi temi.
Ma
c’è anche del positivo nella due giorni pechinese, oltre alle grandi
battaglie sull’overcapacity. A latere del Business Forum sono stati
infatti conclusi circa una dozzina di accordi, tra questi c’è il
progetto della zona di sviluppo agricola di Zhenjiang (Jiangsu) una
municipalità carica di storia tra il fiume Yangtze ed il Canale
Imperiale, un polo industriale primario che ospita aziende di rilievo ma
che ha scoperto una vocazione agroindustriale, prima con gli svizzeri
adesso con un progetto italiano nella Zona economica speciale. Grazie
alla collaborazione con l’Italia coordinata dallo studio In3act e la
pianificazione urbanistica di studio CMR Zhenjiang sta attirando molti
investimenti verdi e, soprattutto, nel settore dell’agrolimentare che è
il punto forte dell’Italia.