Il Sole 12.7.16
Cina, appello dell’industria a Juncker
Trenta associazioni europee contro l’ok allo status di economia di mercato
di Giovanna Mancini
Alla
vigilia del summit tra Cina e Unione europea che si apre oggi a
Pechino, gli industriali europei rinnovano il loro appello a Commissione
e Consiglio Ue affinché prendano una posizione netta contro la
concessione alla Cina dello status di economia di mercato (Mes), che
ostacolerebbe il mantenimento di strumenti di difesa commerciale, come i
dazi antidumping attualmente in vigore e in scadenza quest’anno.
A
lanciare nuovamente l’allarme – ricordando l’impatto che questa
eventualità avrebbe sulla manifattura europea – è Aegis Europe, che
rappresenta oltre 30 associazioni industriali europee di diversi
settori, tra cui la ceramica, uno dei comparti che sarebbe più colpito
nel caso non fossero rinnovati i dazi antidumping. «Abbiamo calcolato
che in tutta Europa sarebbero a rischio complessivamente più di 300mila
posti di lavoro diretti nei diversi comparti – ha detto Alfonso Panzani,
vice-presidente di Cerame-Unie –, un terzo dei quali nella sola
industria ceramica». Proprio per quanto riguarda le ceramiche da tavola,
l’assenza di dazi tra il 2005 e il 2013 ha portato la quota di
importazioni cinesi in Europa dal 20 al 70%, con la conseguente perdita
di 33mila posti di lavoro (su 58mila) in tutta l’Unione. «Dobbiamo
muoverci per tempo prima che accada una cosa analoga a tutti i comparti
oggi protetti da dazi – spiega Panzani – l’Europarlamento si è già
espresso contro il riconoscimento alla Cina del Mes. Ora la parola
spetta a Commissione e Consiglio e luglio sarà un mese importante di
incontri per le decisioni dei prossimi mesi».
Secondo le stime di
Confindustria Ceramica, affinché le misure antidumping siano efficaci è
necessario mantenere un livello minimo di dazio circa del 30%. A
rischio, oltre ai posti di lavoro, c’è la sopravvivenza di settori
industriali all’avanguardia, le cui competenze e tecnologie andrebbero
perdute. I numeri sono inequivocabili: per quanto riguarda l’industria
della ceramica, la produzione cinese di piastrelle è aumentata di oltre
sei volte tra il 1995 e il 2014, raggiungendo i 10 miliardi di metri
quadrati (dieci volte di più della produzione totale europea), con una
sovracapacità di 4 miliardi di mq che, aggravata dalla crisi dei consumi
interni cinesi, spinge Pechino ad accelerare sulle esportazioni.
Tra
i comparti più a rischio ci sono inoltre il tessile-abbigliamento (con
importazione dalla Cina in Europa per oltre 6,6 miliardi nel 2015),
l’elettronica, la metallurgia, la siderurgia, la chimica e la carta.
Attualmente sono 52 i prodotti cinesi su cui l’Unione europea impone dei
dazi. Le misure riguardano appena l’1,3% dei beni importati dalla Cina,
ma mettono “in sicurezza” decine di migliaia di imprese europee,
soprattutto piccole e medie, di cui il 40% è italiano. Proprio l’Italia
sarebbe, infatti, il Paese più colpito da questa eventualità, anche se
la posizione del nostro Paese, fortemente sostenuta dal ministro per lo
Sviluppo economico Carlo Calenda, è condivisa anche da Francia, Spagna,
Portogallo e Gran Bretagna. Se la Germania non ha ancora espresso
chiaramente la sua posizione, favorevoli alla concessione del Mes alla
Cina sono Svezia, Olanda, Belgio, Danimarca e Irlanda, Paesi soprattutto
importatori, con scarsa tradizione manifatturiera.
«La Cina non è
un’economia di mercato – ricorda l’Aegis a Jean-Claude Juncker e Donald
Tusk in missione a Pechino –: risponde a solo uno dei cinque requisiti
richiesti e Commissione e Consiglio devono prendere una chiara posizione
contro il dumping cinese, la sua sovrapproduzione e gli aiuti di stato
illegali».