Corriere 12.7.16
«Quel mare è nostro La Storia parla da sola»
di G. Sant.
PECHINO
Da settimane la Cina ha mobilitato ambasciate e portavoce per
rivendicare che il Mar cinese meridionale è suo e ammonire che ogni
tentativo di negarlo può portare a uno scontro. Zhang Yao, direttore
dell’Istituto di studi strategici di Shanghai per il mare dice subito:
«Quel mare è storicamente cinese e le installazioni costruite di recente
servono alla sicurezza della navigazione».
Il governo cinese ha
rifiutato l’arbitrato della Corte dell’Aia, eppure ha sottoscritto la
Unclos: una grave contraddizione, non trova?
«La Convenzione
prevede l’impossibilità di risolvere i conflitti sulla sovranità e la
necessità che se ne occupino le parti coinvolte, escludendo
l’obbligatorietà di un arbitrato. In più la Convenzione riconosce
l’esistenza di diritti storici acquisiti. Perciò, la mancata
partecipazione della Cina all’arbitrato lo rende inutile. Oggi si
discute anche di distanza delle isole per cercare di negare il diritto
cinese, ma di fronte alla Storia questo non conta: per lungo tempo non
c’era stata opposizione da parte di altri Paesi. Poi, nel 1947 Pechino
ha presentato ufficialmente la mappa nazionale che includeva le isole
nel Mar cinese meridionale e ancora nessuno la contestò».
Rifiutandosi di riconoscere la decisione dei giudici Onu la Cina diventa uno Stato fuorilegge.
«Una percezione sbagliata: questo arbitrato non va considerato come una sentenza emessa da una Corte internazionale».
Pensa che ci possa essere un accordo separato e bilaterale con le Filippine?
«La
Cina ha sempre riconosciuto che ci siano controversie ed è disponibile a
risolverle attraverso trattative pacifiche con i Paesi della regione».
Il capo del Pentagono dice che la Cina sta costruendo una Grande muraglia di autoisolamento.
«Gli Stati Uniti dovrebbero restare neutrali perché non c’entrano».
C’è da temere uno scontro militare?
«Le
forze aeronavali cinesi e americane si stanno facendo vedere nell’area e
potrebbero esserci casi che sfuggono al controllo, ma non mi
preoccuperei troppo, perché sia Washington sia Pechino sono consapevoli
dell’importanza di avere rapporti stabili».