Il Sole 10.7.16
Il Papa separa amministrazione dei beni e vigilanza
Vaticano.
Dopo gli scandali Apsa, un Motu Proprio di Bergoglio stabilisce la
distinzione di competenze e poteri: la Segreteria per l’Economia
controllerà la struttura presieduta da Calcagno
di Carlo Marroni
CITTÀ
DEL VATICANO Separazione netta tra amministrazione dei beni della Santa
Sede e le funzioni di vigilanza e controllo. Papa Francesco interviene
nuovamente (e con ogni probabilità definitivamente) sul complesso tema
delle finanze vaticane e con un Motu Proprio stabilisce in modo netto le
competenze e i poteri, che coinvolgono la Segreteria dell’Economia
(Spe), nata nel febbraio 2014 e affidata alla guida del cardinale George
Pell, e l’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica,
presieduta dal cardinale Domenico Calcagno. All’Apsa, da molti anni, è
affidato il patrimonio immobiliare - 3-4 miliardi la stima non ufficiale
del valore dei beni “liberi” da vincoli funzionali all’attività della
Santa Sede – e il cospicuo portafoglio finanziario: nella fase iniziale
della riforma queste competenze erano state affidate alla Spe, ma
successivamente le erano stato tolte e riportate all’Apsa. Questo
processo, dai tratti erratici, aveva creato non poche frizioni dentro i
Sacri Palazzi, alimentando polemiche, spesso strumentali, fornendo a chi
voleva allargare i suoi poteri armi per criticare i presunti “nemici
della riforma”. Ma Francesco, che sa bene come stanno le cose,
interviene nel processo di assestamento della riforma, chiarendo che la
gestione dei beni è dell’Apsa, mentre alla Spe tocca il personale, il
controllo, il budget, fatte salve le competenze pure importanti del
Revisore Generale, il cui ruolo è stato ben ribadito dopo la vicenda
dell’affidamento dell’incarico alla Pwc, storia di due mesi fa. «Il
principio fondamentale che sta alla base delle riforme in questa
materia, ed in particolare alla base del Motu Proprio odierno, è quello
di assicurare la distinzione netta e inequivocabile tra il controllo e
la vigilanza, da una parte, e l’amministrazione dei beni, dall’altra»
scrive il Papa.
Una decisione che arriva dopo un lungo
approfondimento della materia, su cui è stata impegnata una commissione
ad hoc guidata dal cardinale Velasio De Paolis, che ha consegnato le
risultanze al Papa. La Segreteria per l’Economia quindi, nata come
“super-dicastero delle finanze”, nei fatti diventa un organismo che in
Italia potrebbe essere a metà tra la Ragioneria Generale dello Stato e
la Corte dei Conti, ma con competenze condivise anche con la Segreteria
di Stato, il Revisore Generale - ufficio pure nato con la riforma del
2014, assieme al Consiglio per l’Economia, guidato dal cardinale
Reinhard Marx - e sempre sotto la guida del Papa, che fissa i criteri e
comunque interviene direttamente sulle decisioni di maggiore entità (è
accaduto anche per lo Ior, come si è visto per la nota vicenda della
Sicav a Lussemburgo, bocciata un anno e mezzo fa).
Bergoglio sa
bene che queste nuove regole qualche sussulto lo potranno produrre,
magari alimentando delle polemiche strumentali su “vecchia e nuova
Curia”. Ma vuole essere chiaro e dice, nel Motu Proprio, che i cardinali
- tra l’altro Pell un mese fa ha compiuto 75 anni, e ha presentato le
dimissioni, poi spetta al papa decidere quando accettarle - devono
andare d’accordo e collaborare sul serio, altrimenti ci pensa lui: «Per
l’attuazione di quanto sopra stabilito, confido nella reciproca
collaborazione dei Superiori dei due dicasteri interessati. Eventuali
questioni che dovessero sorgere saranno sottoposte alle decisioni di un
mio delegato, affiancato da collaboratori».