il manifesto 9.7.16
Le piccole verità di una vita piena
Saggi. «Non essere Dio. Un’autobiografia a quattro mani» di Gianni Vattimo e Giorgio Paterlini per Ponte alla Grazie
di Nicolas Martino
Non
essere Dio, ovvero rifiutare gli assoluti, ecco il compito di un’intera
vita, quella di Gianni Vattimo, filosofo, ripercorsa insieme a Giorgio
Paterlini in Non essere Dio. Un’autobiografia a quattro mani (Ponte alle
Grazie, pp. 224, euro 15). Un ritratto di sé che può ricordare i
«Saggi» di Montaigne, non solo per l’ironia che percorre tutta la
narrazione e per lo stile che varia in continuazione, dall’anedotto
biografico, al saggio filosofico breve e fulminante, all’intervento
sull’attualità, ma anche e soprattutto per lo scetticisimo di fondo che è
la cifra filosofica del nostro come già del gentiluomo perigordino del
XVI secolo.
Allora erano stati soprattutto i conflitti religiosi e
la scoperta del Nuovo Mondo a indurre la crisi scettica di Montaigne,
quando il vecchio mondo era ormai morto e quello nuovo iniziava appena a
configurarsi in una condizione sospesa tra il non più e il non ancora.
Una condizione che torna a proporsi oggi, quando la forza propulsiva
della modernità si è consumata e un mondo nuovo inizia lentamente a
prendere forma dalle macerie di quello vecchio, tra scosse telluriche e
molteplici contraddizioni. È la globalizzazione, ciò che culturalmente
chiamiamo il postmoderno, da sempre tema vattimiano per eccellenza.
Nell’avventura
filosofica di Vattimo, come è noto, da sempre lo accompagnano Nietzsche
e Heidegger, il primo a confermare che se il mondo vero è diventato
favola, allora anche il mondo apparente non è più meno vero, e che se ci
si libera dalle verità assolute quello che ci rimane sono le
interpretazioni. Il secondo, il mago di Messkirch, a ricordare che
l’Essere si da nascondendosi, ovvero, e qui interviene l’interpretazione
di Vattimo che aggiunge l’accento sulla congiunzione heideggeriana, che
l’Essere è tempo, e quindi è linguaggio perché coincide con gli
orizzonti storico-linguitici che si succedono nelle diverse epoche
storiche, secondo la lezione di Gadamer «urbanizzatore» di Heidegger.
Ora
se l’Essere, sottoposto a una cura dimagrante, si è fatto leggero, e la
verità forte della metafisica si è dissolta a favore di una verità
debole, l’Essere che la metafisica occidentale ha scordato a favore
degli enti non va certo restaurato, ma piuttosto rammemorato. E proprio
questo mondo esploso in cui le verità sono tante quante le differenze,
in cui ciò che è in gioco è un conflitto di interpretazioni, questo
mondo globalizzato in cui la tecnica ha colonizzato definitivamente
l’esistente, è anche e soprattutto un’occasione di liberazione per
Vattimo, fedele in questo al celebre verso di Hölderlin secondo il quale
«là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva».
Un’occasione
di liberazione dalle verità forti che sono sempre anche violente, dalle
identità blindate e dalle tradizioni autoritarie. Eppure, qui
l’obiezione critica, questo pensiero «libertario» che scommette sulla
globalizzazione e la differenza, seppur eticamente schierato dalla parte
dei più deboli, rischia di diventare apologia dell’esistente quando nel
suo scetticismo sembra dimenticare la verità «dura» del Capitale e dei
suoi rapporti sociali, quando la celebrazione della fine della Verità
con la maiuscola sembra dimenticare che la verità, dopo il moderno, non
si perde in un caleidoscopio multicolore, ma è quella verità scritta con
la minuscola eppure potente e concreta, quella verità materialista
costruita con le nostre mani.
Un pensiero, insomma, che da
libertario tende ad accomodarsi nella più classica delle tradizioni
liberali quando si nasconde dietro il fumo di una «destinalità» che non è
mai politicamente innocente.
In conclusione, per tornare a
Montaigne, questa è una sorta di «circumnavigazione» di sé, che va dalla
periferia torinese dove Vattimo è nato, figlio di un poliziotto
calabrese e di una sarta, alla militanza cattolica, anche lui come molte
delle menti migliori del Belpaese, nella Giac, dall’Università dove è
allievo prediletto di Pareyson, alla scoperta della propria
omosessualità vissuta inizialmente con difficoltà, ma senza mai
rinunciare ad affermarla tanto da diventare un militante del «Fuori».
Passando per la Rai degli esordi dove lavora insieme a Colombo ed Eco,
alle scuole serali dove gli operai delle grandi fabbriche si preparavano
alla licenza media e capitava che regalassero al giovane insegnante
indimenticabili lampi di poesia, attraverso la carriera accademica
internazionale, il successo mediatico, l’impegno politico e la
riscoperta del comunismo. Per arrivare, infine, all’organizzazione di
una vita privata retta da un’architettura amorosa delicata e commovente,
attraversata dal dolore, fatta di equilibri fragili ma sempre
appasionati e fondati sulla «cura» reciproca. Una vita «libera»,
raccontata qui con autentico trasporto.