il manifesto 9.7.16
Alla ricerca di un Politico nell’era dei piccoli Napoleone
Saggi.
«La scienza politica di Gramsci» di Michele Prospero per Bordeaux
edizioni. Da Grillo a Renzi, la nuova onda populista esprime la crisi
della democrazia rappresentativa
di Leonardo Paggi
Da
tempo ormai immemorabile la bibliografia italiana su Gramsci è dominata
dal tema dei suoi rapporti con il partito negli anni del carcere.
L’esistenza di una difformità, peraltro da sempre largamente nota, tra i
Quaderni e i coevi indirizzi culturali e politici del partito ha
generato una ricerca sempre più ossessiva sul «tradimento» che sarebbe
stato giocato ai danni del prigioniero. Sull’onda di una filologia
avventurosa e spericolata si è persino ipotizzato un quaderno
«mancante», fatto sparire dalla censura preventiva del Pci. Si accoglie
pertanto quasi con sollievo un libro come quello di Michele Prospero (La
scienza politica di Gramsci, Bordeaux) che torna a cimentarsi con una
lettura diretta dei testi.
La tesi del libro è che la richiesta di
un politico forte e auto centrato fa da contrappunto in Gramsci ad una
analisi che indugia a lungo sui modi in cui un sistema liberale di tipo
parlamentare può subire un processo di progressivo corrompimento e
degrado fino alla negazione di fatto del principio della rappresentanza
democratica. La crisi del partito, in quanto essenziale tratto di unione
tra società civile e stato, è sempre il vero epicentro di una
involuzione di sistema, destinata a sfociare, prima o poi, in un
mutamento della stessa forma di governo. Prospero ripercorre e commenta
tutti i fondamentali passaggi dell’analisi gramsciana: la degenerazione
burocratica, la disgregazione trasformistica, la fascinazione
carismatica, la regressione nell’apoliticismo, l’involuzione cesarea,
che può avanzare anche attraverso la formazione di grandi coalizioni di
governo che tolgono al parlamento la sua precipua funzione di
rappresentazione politica del conflitto sociale.
Una teoria dello Stato
Comprensiva
di questa complessa fenomenologia è la più generale contrapposizione
tra lo stato inteso come costituzione e il governo, tra la politica come
forma in cui una società si organizza e si esprime in ottemperanza ai
conflitti sociali da cui è percorsa, e la politica come macchina o
tecnica (come governance nel linguaggio di oggi), ossia come potere
esecutivo che ricerca nella sua separazione e nella sua razionalità
esclusiva ed escludente il principio del proprio sviluppo. O ancora: tra
lo stato che si allarga alla società civile e lo stato che si contrae
nell’apparato burocratico. Questa linea di conflitto attraverso cui
matura sempre lo svuotamento di ogni forma di sovranità popolare, ha
investito, per Gramsci, anche il nuovo potere nato dalla rivoluzione
d’ottobre. In questo senso si può dire che nei Quaderni ci sono i
fondamenti di una teoria unica dello stato. In qualsiasi contesto
sociale la democrazia avanza solo con la diffusione e l’arricchimento
del politico.
Gramsci non ha letto gli ultimi corsi di Foucault al
Collége de France sulla contrapposizione tra stato e governamentalità. I
suoi punti di riferimento sono da un lato La filosofia del diritto di
Hegel, che, nelle sue parole, interpreta la società civile come «trama
privata dello stato», dall’altro Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte di
Marx, che vede nel potere dell’esecutivo, sempre più dilagante con lo
sviluppo di rapporti capitalistici, la causa immanente di ogni
involuzione autoritaria. Il passaggio da Napoleone il grande a Napoleone
il piccolo sta a testimoniare l’esistenza di un potere separato che
sovrasta e condiziona la politica. Per questo l’involuzione cesarea può
avanzare senza il concorso di grandi personalità.
Dinanzi
all’incapacità del pensiero liberaldemocratico classico di dire una
parola sulla crisi della democrazia che stiamo vivendo, i Quaderni di
Gramsci, che Norberto Bobbio volle tanto tenacemente mandare in
soffitta, continuano ad avere un singolare potere di illuminazione sul
presente. Oggi valutiamo meglio l’effetto disarmante di una visione
della democrazia che si costruiva nella più completa ignoranza del
legame di ferro tra potere economico e potere burocratico che la
mondializzazione e lo stesso sviluppo del processo di integrazione
europeo stava già allora saldando.
La lettura dei testi gramsciani
che Prospero ci propone è legittimamente, ossia senza alcuna
sollecitazione dei testi, orientata all’esperienza dell’oggi. Si può
dire che in essa si definisce la prospettiva critica con cui egli guarda
alla crisi italiana nel suo volume immediatamente precedente Il
nuovismo realizzato. L’antipolitica dalla Bolognina alla Leopolda,
Bordeaux. Con particolare efficacia il capitolo intitolato «La
rivoluzione passiva» suggerisce come nello smantellamento progressivo
del partito politico, sempre incoraggiato e promosso dai poteri
costituiti, si debba cogliere il tratto distintivo di una «crisi
organica» che dall’inizio degli anni Novanta arriva, con le elezioni del
febbraio 2013, al crollo del bipartitismo, assunto come principio
fondante della seconda repubblica, per approdare (provvisoriamente!)
all’Opa (offerta pubblica di acquisto) di Renzi sul Partito democratico.
Il
ciclo populista genera un politico sempre più fragile e aleatorio, in
cui il carisma di carta pesta inventato dai media si mescola con la
degenerazione trasformista e con un discorso pubblico sempre più
svuotato di ogni contenuto reale. Le affinità tra questi diversi episodi
sono indubbiamente impressionanti. E tuttavia la fedeltà allo spirito
della analisi gramsciana impone la ricerca di differenze che
indiscutibilmente permangono. Con i leaderismo di Berlusconi si cementa
una nuova destra di governo estranea e aggressivamente contrapposta a
tutta la precedente storia repubblicana. Con il leaderismo di Grillo si
esprime la protesta di vasti ceti popolari nei confronti di un sistema
politico che ha abbassato drammaticamente il livello delle proprie
prestazioni, disattendendo sistematicamente le aspettative della società
civile. Con i leaderismo di Renzi giunge a conclusione la involuzione
programmatica e politica del Partito democratico (a sua volta ultima
metamorfosi del vecchio Pci) che è definitivamente precipitata
nell’autunno del 2011 con il consenso dato alla formazione del governo
Monti.
Stress da austerità
Nell’ondata populista che oggi
investe tutti i sistemi politici europei sottoposti allo stress della
politica di austerità si esprimono contenuti sociali spesso tra loro
opposti. La protesta antipolitica di chi ha perso il lavoro rimane
profondamente diversa da quella di chi non vuole pagare le tasse.
Riuscire a mantenere il senso delle distinzioni è la vera posta in gioco
sia dell’analisi che dell’iniziativa. La perenne saldatura tra
contenuto e forma è in effetti il lascito più importante della
metodologia gramsciana che questi due libri di Prospero ripropongono con
grande forza all’attenzione della nostra cultura politica.