il manifesto 9.7.16
Gli italiani chiedano scusa
di Raffaele K. Salinari
Questa
è una lettera di scuse indirizzata alle comunità di migranti che
arrivano nel nostro Paese spinte da un sogno: trovare una vita migliore,
senza fame, guerra, razzismo, povertà, esclusione sociale, ma anche che
potranno finalmente esprimere i loro talenti, lavorare per un equo
salario, avere una casa dignitosa, vedere crescere i figli come parte
integrante e riconosciuta di una società che li ha accolti e che si
trasforma anche in virtù del loro apporto culturale.
Questa è una
lettera di scuse per la morte del corpo sognante di Emmanuel, ucciso a
Fermo da chi tutto questo non solo non lo accetta, ma lo combatte con i
mezzi più atroci, arrivando direttamente dall’insulto all’omicidio.
Questa
è una lettera di scuse perché non abbiamo più orecchie, noi che da
sempre siamo impegnati nel sociale, nella difesa dei Diritti, nella
cooperazione internazionale allo sviluppo, ma che non riusciamo a fare
la differenza, nonostante i buoni propositi, perché rimaniamo divisi al
nostro interno da differenze e ripetizioni che all’orizzonte dei
problemi odierni appaiono, e sono, insignificanti.
Un omicidio
razzista verso un migrante che ha rischiato la sua stessa vita per
arrivare ad essere riconosciuto come essere umano, nella sua dignità e
diritti, come recita il primo articolo della Dichiarazione Universale, è
qualcosa che non avviene per caso, per errore, per una fatalità, o
almeno non solo.
La cultura che ha prodotto quell’assassinio è un
rumore di fondo potente, sempre più distinto, sempre più orchestrato in
una vera e propria musica di morte che dovrebbe suonare alle nostre
sensibilità come tale e che invece ancora ci sfugge, impegnati come
siamo a prestare orecchio alle voci della politica politicante, dei
piccolo posizionamenti tra correnti di partitini o residui storici di
una sinistra che, solo per noi, resta un riferimento fattivo, mentre la
società reale, composta anche da coloro i quali una volta dovevamo
rappresentare, organizzare, portare addirittura al potere, ora ci volge
non solo le spalle, ma guarda in direzione opposta a come credevamo che
sarebbe andata la Storia.
Questa è una lettera di scuse ad
Emmanuel perché non abbiamo saputo intercettare il suo sogno, farlo
nostro, sognare con lui e come lui.
Cosa sogniamo noi? Cosa sognano le anime sparse della sinistra? Chi ci manda i sogni?
Una
volta questa era, ed è ancora, la domanda chiave, da porre a chi
vorremmo non solo ascoltare, ma da chi dovremmo finalmente imparare, per
comprendere non solo l’essenza di chi affronta viaggi che fanno
sembrare l’Odissea un tour dei club Mediterranee dell’epoca, ma la
nostra stessa ragione di essere.
Siamo ancora in grado di farci
attraversare dal sogno di Emmanuel e di sua moglie? Possiamo soltanto
concepire la forza che muove oltre il rischio quotidiano della morte e
delle vessazioni, questi corpi in movimento su una terra rotonda che
ancora, però, noi pensiamo piatta?
Chi non ha Immagini
immaginanti, chi non coltiva in se stesso la visione del Mundus
Imaginalis, della trama che connette tutte le forme di esistenza, non
può accedere né tantomeno cambiare la realtà.
Ci siamo molto
allontanati da questa rete invisibile già molto tempo fa, quando il
materialismo, storico o meno, ci ha sollevato dal coltivare,
dall’incubare, i nostri sogni per farne lo strumento di governo della
materia.
Adesso viviamo inconsapevoli nel Regno della Quantità, e
difficilmente vediamo da differenza tra quantitativo, la forma e
qualitativo, la sostanza.
Eppure, ecco l’arcano, i corpi materiali
dei migranti, dei «dannati della terra» come profetizzava Fanon,
tornano a parlarci dei loro sogni, fanno dei corpi, del soma, un sema,
un simbolo, quello di un amore più forte della vita, di un amore
visionario che non esita a sacrificarsi pur di affermarsi come principio
di trasformazione della realtà.
Se interroghiamo questa parte di
noi, che dorme ma non sogna più, che tende solo al risveglio rapido o
all’insonnia intellettuale perché abbiamo paura di addormentarci
nell’incubo delle nostre contraddizioni puramente materiali, allora
forse torneremo finalmente lucidi, svegli, vigili, come solo la forza di
chi sogna a costo della vita può rendere.