sabato 9 luglio 2016

Corriere 9.7.16
I quesiti e il danno da ridimensionare
di Francesco Verderami

Renzi fa mostra di disinteressarsi di come parlino di lui, anche se colpisce che qualcuno — persino nel Pd — arrivi a considerarlo una sorta di parentesi tra Monti e Draghi .
È chiaro che l’ipotesi di un rientro in Italia del presidente della Bce — con cui peraltro il capo del governo vanta frequenti e solidi rapporti — rappresenta oggi niente più di una suggestione, un miraggio rincorso nel deserto della politica da quanti temono un imminente cambio di sistema a Cinque Stelle. Ma tanto basta per dare l’idea del clima di accerchiamento che si respira fuori e dentro palazzo Chigi. Ed è significativo come Renzi provi a esorcizzarlo, arrivando a suscitare l’ilarità dei suoi interlocutori per cambiare verso al loro umore.
In Consiglio dei ministri per esempio c’è riuscito, raccontando un episodio «veramente accaduto» che lo ha avuto protagonista insieme a Franceschini: «È successo che Dario mi ha visto in tv mentre dicevo che se non passasse il referendum me ne andrei a casa. Poi ha visto Maria Elena (Boschi) mentre diceva che se non passasse il referendum se ne andrebbe a casa anche lei. E a quel punto si è domandato: “Ma se vanno via tutti qualcuno dovrà pur restare”...».
Renzi non si serve della battuta per aggirare il problema, ma per non apparire fragile davanti al problema, sebbene sia conscio dell’accerchiamento e della sua natura, che non è soltanto politica. Sventato rapidamente il tentativo di destabilizzare il suo governo attraverso l’attacco al ministro dell’Interno, quasi se lo aspettasse, deve ora provare a disinnescare altri due timer inseriti nella crisi del sistema bancario e nella gestione della consultazione popolare sulle riforme. E se nel primo caso può sperare sul sostegno dell’Europa, nel secondo sa di avere pochi alleati in Italia.
Certo è complicato trovare un’intesa con chi per un verso «mi vuole morto» e con chi per l’altro «mi considera già morto». Perciò le pressioni che riceve da ogni dove sul cambio della legge elettorale lo convincono, ma fino a un certo punto: nel senso che la disponibilità a tornare a ragionare sull’Italicum è stata data. Il punto è capire quale sia la contropartita. È vero, garantire il premio di maggioranza a una coalizione e non più a una lista può svelenire i rapporti con Forza Italia e può consentire di saldare i legami con i centristi (quanto alla «ditta» invece non fa più affidamento). Ma il cuore del problema restano le garanzie sullo snodo referendario.
Può darsi che l’eventuale compromesso porti Berlusconi a non esporsi più di tanto quando si arriverà allo scontro nelle urne sulle riforme, può darsi che si acconci a un conflitto a bassa intensità. Non a caso il capogruppo azzurro Brunetta ha preso di mira le tv del Biscione, quasi fosse un’azione preventiva per impedire che in campagna elettorale l’azienda catodica del Cavaliere si metta a fare il tifo per il Sì. Insomma, ogni opzione per ridurre il danno politico viene valutata da Renzi e non da oggi: da uno slittamento del voto dopo il varo della legge di Stabilità, allo spacchettamento dei quesiti, su cui il Pd non si espone in attesa di vedere se l’idea avrà il sostegno di altre forze politiche.
Tuttavia la partita referendaria, prevista per l’autunno, non contempla il risultato di parità. A meno che il voto non slitti all’inizio del prossimo anno. Allora cambierebbe tutto. Il cambio di timing scombinerebbe i piani del fronte del No, che si è dato appuntamento tra ottobre e novembre per sconfiggere Renzi e sostituirlo con un governo di scopo, dove Berlusconi intende sedere tra i vincitori. Per questo (e per altre ragioni) l’ex premier ha bloccato l’ipotesi di una eventuale spallata al governo: «Non è il momento di aprire una crisi». Senza una rete di protezione già stesa, non intende addossarsi la responsabilità di un salto nel buio, nè offrire al leader del Pd il pretesto per chiedere elezioni anticipate.
Anche perché Berlusconi vuole verificare se ci sono margini per un accordo sull’Italicum con Renzi prima del referendum. Altrimenti il cambio dell’Italicum è convinto di farlo senza Renzi dopo il referendum. Ma fino a che punto il premier potrà fare concessioni, offrendo di sé l’immagine di chi arretra? Ecco uno degli interrogativi che si uniscono a variabili politiche al momento indecifrabili, alla ripresa di contatti fino a ieri impensabili come quello tra Berlusconi e Alfano. Tutti comunque, nel Pd e nel centrodestra, ambiscono a un evidente eppure inconfessabile desiderio: trovare una formula che li porti a competere tra loro, visto che al varco li attendono i Cinque Stelle.