il manifesto 9.7.16
La copertina dell'ultimo numero dell'Economist
Economist: «Se esplode la crisi delle banche Renzi rischia al referendum»
Economist.
«Dopo la Brexit, la nuova crisi europea è quella delle banche
italiane». La tesi politica, già esposta sul Financial Times, è stata
ripresa nell'ultimo numero del settimanale britannico: lo spettro è la
vittoria del «No» e i Cinque Stelle
di Roberto Ciccarelli
L’Eurozona
si sta giocando la pelle sulla crisi bancaria italiana e il referendum
costituzionale di ottobre (o novembre). Questa è la lettura politica
ribadita nell’ultimo numero del settimanale britannico The Economist.
Dietro la trattativa sui crediti deteriorati in vista degli «stress
test» sui bilanci bancari che la Bce terminerà il 29 luglio c’è il
referendum costituzionale sul quale Renzi ha messo in gioco il suo
posto. Il collegamento tra i primi due problemi e la consultazione
popolare è arbitraria, squisitamente politica. La tesi per cui il «No»
al referendum – espressione di una volontà democratica –
destabilizzerebbe l’intero continente dopo la «Brexit» è uno degli
argomenti usati per ottenere dalla governance europea il via libera alla
ricapitalizzazione pubblica dei crediti deteriorati delle banche.
«The
Italian Job. Europe’s next crisis» è il titolo di copertina
dell’Economist. Nel dettagliatissimo editoriale, e nel servizio da
Milano, si dà ragione a Renzi: per curare la malattia l’Italia deve
usare la norma che aggira il divieto europeo sugli aiuti di stato e
usare i fondi pubblici. In caso contrario si «lascerebbe la porta del
potere aperta al Movimento Cinque Stelle» definito come «un gruppo che
attribuisce i problemi dell’economia italiana alla moneta unica». In
altre parole, bisogna trovare ora una soluzione per le banche per
evitare a Renzi di perdere altro consenso e dargli una stampella per
affrontare il difficile autunno della sua breve vita politica. Si dà
dunque per scontato che i Cinque Stelle saranno gli unici a
capitalizzare il «No» eventuale e che Renzi rappresenti una «stabilità»
da tutelare.
«Citigroup ha descritto il voto come “probabilmente
il più alto rischio singolo nel panorama politico europeo di quest’anno
al di là del Regno Unito”». Questa la tesi politica già esposta sulla
prima pagina del Financial Times il 3 luglio scorso, dieci giorni dopo
la «Brexit»: «I funzionari dell’Eurozona hanno iniziato a temere che le
banche italiane siano l’anello debole dei sei anni di sforzi per
rafforzare la moneta comune. Con il secondo debito pubblico più alto
dell’eurozona dopo la Grecia, lo stesso governo italiano è a corto di
denaro e funzionari europei temono che Roma avrebbe difficoltà a fare un
salvataggio». Nonostante questo Renzi sarebbe «pronto a sfidare
Bruxelles sul bailout per le banche italiane in difficoltà». «Una azione
unilaterale ammaccherebbe la credibilità della Ue» ha avvertito Ft. E
poi l’indiscrezione secondo la quale Renzi sarebbe pronto «a sfidare la
Ue e a pompare unilateralmente miliardi di euro nel suo sistema bancario
in difficoltà se arrivasse in grave pericolo sistemico». Si tratterebbe
di «una mossa dell’ultima risorsa che darebbe uno schiaffo al nascente
regime del blocco europeo per gestire le banche in difficoltà».
Alle
nove del mattino dello stesso giorno è giunta una precisazione da
Palazzo Chigi: «Quanto alle banche è noto che Renzi prediliga le
soluzioni di mercato, nel rispetto delle regole vigenti in Europa».
Questione di tattica: prima la minaccia, poi l’indiscrezione sulla
soluzione: il riferimento è al «burden sharing», ovvero la «condivisione
dei costi», la normativa sulla ricapitalizzazione precauzionale con il
denaro pubblico degli istituti di credito in cambio dell’impegno degli
azionisti e obbligazionisti a contribuire al capitale necessario. Il
vice presidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis è favorevole e
Renzi avrebbe anche incassato l’appoggio del presidente Juncker per
«coprire» i piccoli risparmiatori che rappresentano l’anomalia del
sistema bancario italiano e la vera spina nel fianco di Renzi. Un
«crollo» del sistema li travolgerebbe con un danno elettorale
incalcolabile, ancora più superiore a quello prodotto da Banca Etruria
che ha colpito la ministra delle riforme Boschi.