il manifesto 20.7.16
Italicum
Caos Pd, le proposte di modifica ora sono quattro
di A. C.
ROMA
Ci si aspettava la proposta di una nuova legge elettorale prospettata
da un pezzo di Pd, la minoranza bersaniana, per correggere quella messa a
punto da un altro pezzo di Pd, anzi dal suo onnipotente capo in
persona. Si è abbondato in grazia e di proposte ne sono arrivate due:
anche la terza proviene, chi l’avrebbe mai detto, da un pezzo del Pd,
quello che fa capo al presidente del partito e oggi strettissimo alleato
di Renzi Matteo Orfini.
Un certo stupore è lecito anzi
inevitabile: nell’ultima direzione, infatti, era stato proprio Orfini a
blindare l’Italicum mitragliando quell’altro pezzo di Pd, guidato da
Dario Franceschini, che voleva modificare la legge elettorale, però con
una versione che non corrisponde a nessuna delle due squadernate ieri e
che pertanto costituisce la quarta ipotesi partorita dal Pd nelle ultime
settimane. Babele, al confronto, era un modello di comune e universale
linguaggio.
Al sodo, il modello presentato ieri in conferenza
stampa dalla minoranza ripristina il Mattarellum, in vigore tra il 1994 e
il 2005 ma restaurato con un premio di maggioranza di 90 seggi, pari al
14% del totale, alla lista o alla coalizione che conquista col
maggioritario più collegi.
A differenza dell’Italicum il premio
non garantisce qui la maggioranza dei seggi, e in ogni caso sarebbe
fissata per legge l’impossibilità di superare i 350 seggi. Ci sarebbe
poi un “premietto” di minoranza di 30 seggi per i secondi arrivati e 23
seggi sarebbero riservati, come diritto di tribuna, alle liste che
comunque superano 2%.
«Anche Renzi – afferma Speranza – ha detto
che decide il parlamento. Non voglio far cadere queste parole, lo
spirito di questa proposta non è maggioranza contro minoranza». E’
certamente vero, ma è anche vero che la proposta spezza la linearità del
disegno renziano in due punti chiave. Non offre certezza di «sapere chi
ha vinto la sera delle elezioni» e soprattutto riapre, anzi spalanca le
porte alle coalizioni, dal momento che il maggioritario di collegio se
non rende obbligatorie le alleanze poco ci manca.
L’idea di Matteo
Orfini è molto più rozza e discutibile. L’Italicum resterebbe immutato,
con tanto di abnorme premio di maggioranza: che però andrebbe assegnato
a turno unico, cioè al meglio piazzato senza ballottaggio. Il
principale limite della legge elettorale di Renzi, già approvata dal
parlamento, è che assegna un potere del tutto sproporzionato a liste che
al primo turno possono anche ottenere un consenso molto limitato.
La
risposta è sempre stata che poco importa, dal momento che a far fede
del consenso democratico ci sarebbe il ballottaggio. E’ una foglia di
fico, ma per quel geniaccio del peggior allievo di D’Alema è già troppo.
Turno unico, che in un sistema tripolare rende praticamente certa
l’assegnazione di poteri quasi assoluti a forze intorno al 30% dei
consensi nella migliore delle ipotesi, e non se ne parli più. Brillante.
La
logica di Orfini è sfacciata, modificare la legge in modo da ostacolare
l’M5S. Ma anche la proposta della minoranza Pd, decisamente più
articolata, punta su questo elemento per raccogliere consensi. C’è
peraltro un elemento apparentemente assurdo in tutta la vicenda. Nessuno
pensa di modificare l’Italicum prima del referendum. Ma se Renzi
vincerà quella prova, toccare la legge sarà fuori discussione.