mercoledì 20 luglio 2016

Corriere 20.7.16
Quei segnali degli alleati che preparano la via di fuga
di Massimo Franco

A incuriosire non è tanto il contrasto in sé. Osservato dall’esterno, lo scontro nella già piccola area centrista ha un’eco minima. È condito da personalismi e opportunismi. E finisce solo per confermare lo sgretolamento di un centrismo che non ha più né strategia né leadership. Ma se quanto avviene è osservato dal versante del governo, lo smottamento assume contorni diversi. Diventa la metafora di una molecola del potere che non sa più se e quanto l’alleanza con Matteo Renzi durerà. E dunque si scinde per preparare la via di fuga di qui a un referendum istituzionale incerto.
Sotto questo aspetto, i tormenti di Udc e Ncd, divisi tra «Sì» e «No», tra lealtà e defezione, diventano il termometro della salute dell’esecutivo. Sono una sorta di avanguardia parlamentare della disaffezione che una parte del Paese comincia a mostrare verso la politica di Palazzo Chigi. È come se alcuni esponenti del ceto politico alleato avessero interiorizzato i dati deludenti dell’Istat sulla ripresa; quelli dell’Inps sulla disoccupazione; le resistenze trasversali sulla riforma elettorale; e la parabola discendente dei sondaggi referendari. D’istinto, si sono cominciati a defilare in anticipo, non sapendo più come andrà a finire.
Renzi rivendica di avere «tolto di mezzo l’agenda del passato. Ora», annuncia, «c’è il passaggio chiave del referendum che sancisce tutte le riforme. Poi potremo affrontare il punto: come sarà l’Italia dei prossimi 30 anni». È un’enfasi comprensibile e obbligata. Serve a rilanciare un «Sì» indebolito, anche se è presto per definirlo perdente. Ma certo, il racconto dell’Italia di Renzi avviene tra perplessità crescenti. Lo contestano Beppe Grillo col M5S, e Silvio Berlusconi che prepara «il manuale per il No» al referendum.
Entrambi contano di utilizzare un’eventuale sconfitta governativa per avere maggiore voce sulla modifica del cosiddetto Italicum : un sistema elettorale che sembra destinato a non entrare mai in vigore. E il M5S comincia a puntare sul bersaglio grosso di Palazzo Chigi, perché le truppe grilline crescono tra le difficoltà renziane. Il premier non riesce a riprendersi dai ballottaggi di un mese fa: un’umiliazione per il Pd. Lo stesso terrorismo di matrice islamica, che dovrebbe unire, rischia di dividere. Renzi ha convocato a Palazzo Chigi i gruppi parlamentari per parlarne.
Ma ha collezionato critiche per avere violato, è l’accusa, il galateo istituzionale: in primo luogo da una Lega che pure rispetta le regole caso per caso. Il Carroccio gli attribuisce una vena autoritaria, che le riforme rifletterebbero. Il problema è che la adombra implicitamente anche Roberto Speranza del Pd. «L’architettura istituzionale e l’equilibrio tra i poteri restano fondamentali. Lo dimostrano le drammatiche vicende turche», dice. Le riforme di Renzi come apripista di un Erdogan italiano: un’iperbole polemica, e l’indizio di un clima.