il manifesto 20.7.16
Alfano seppellisce il reato di tortura
Governo. Il Pd cede all’alleato e rimanda all’infinito il ddl. Maggioranza sempre più in bilico
di Andrea Colombo
ROMA
La legge che introduce il reato di tortura è stata sepolta ieri.
Rinviata sine die. Che una legge già in aula venga congelata sino a data
da destinarsi è cosa tanto rara da rivelare in pieno la logica della
scelta del Senato, appoggiata con tacito assenso dal governo: fare
piazza pulita del reato di tortura. Del resto, la piena soddisfazione di
tutti i capigruppo di destra, dopo la decisione della conferenza dei
capigruppo del Senato, non lascia spazio a dubbi. E’ una sconfitta secca
anche per il Pd, che certo non voleva vedere affondare la legge, ed è
anche il passaggio che rende quello di Matteo Renzi un governo di fatto
balneare. Si è certificato ieri che il governo ha sì una maggioranza per
il voto di fiducia, ma è poi ostaggio della destra interna alla
maggioranza su tutti i voti non coperti dalla questione di fiducia.
Era
stato tutto il centrodestra, con l’Ncd in prima linea, a reclamare la
conferenza dei capigruppo, subito dopo la commemorazione delle vittime
di Nizza e usando strumentalmente proprio quella strage come alibi per
chiedere di rimettere mano al testo, riportandolo in commissione. A quel
punto, la voce su uno slittamento del voto a settembre circolava già
largamente, smentita però sia dal ministro della Giustizia Orlando
(«Macchè. Ci stiamo lavorando proprio in questo momento») che dal
capogruppo Pd Zanda («Auspico l’approvazione in tempi celeri»).
In
effetti l’esito del consesso dei capigruppo non è stato quello
previsto. Il ddl non è stata rimandato a settembre ma sine die: così si
può avere la certezza assoluta che non vedrà mai la luce. «E’ gravissimo
– commenta la presidente del Misto Loredana De Petris – ed è vergognoso
usare Nizza come alibi. Così si dà partita vinta ai terroristi». Sul
fronte opposto il presidente dei senatori leghisti Centinaio non la
manda a dire e rintuzza di brutto il tentativo di Zanda di salvare il
salvabile inventando un’inesistente possibilità di varare comunque il
ddl prima della pausa: «Noi abbiamo fatto e faremo il possibile perché
di questa legge se ne parli il più tardi possibile». Sarà proprio così.
A
determinare la rotta del Pd sono stati prima lo schieramento di Alfano
contro la legge di lunedì e poi, ancora di più, le dimissioni da
capogruppo dell’Ncd rassegnate a sorpresa ieri mattina da Renato
Schifani. Parole chiare: «L’oggetto sociale del nuovo centrodestra è
stato disatteso. Il patto politico non è stato onorato. E’ venuto meno
il pilastro. Ho votato le riforme solo per disciplina di partito». A
certificare la fine del miraggio centrista, arriva subito dopo il
comunicato di Cesa che schiera l’altra metà di Area popolare, l’Udc, a
favore del No al referendum.
Per ora, però, Schifani resta come
semplice senatore nell’Ncd, e altrettanto fanno gli 8 o 9 senatori che
sono pronti a seguirlo nel ritorno all’ovile azzurro. E’ una perfetta
mossa da guastatori, non a caso proprio quella che aveva suggerito
Berlusconi quando Schifani lo aveva incontrato ad Arcore. D’ora in poi
il governo non potrà essere sicuro su nessun voto, a parte quelli di
fiducia. Anche perché nella disgregazione del mini polo centrista nulla
impedisce che altri voti si accodino a quelli della pattuglia di
Schifani. Senza contare che il peso specifico di Verdini è nel giro di
24 ore aumentato a dismisura.
In soldoni, il Pd si è arreso perché
per far passare il ddl sul reato di tortura si sarebbe dovuto
appoggiare ai voti determinanti dei 5S e della sinistra, cosa che voleva
a ogni costo evitare. Per lo stesso motivo, dovrà ora congelare la
riforma della prescrizione, osteggiata dalla destra come dai centristi
interni alla maggioranza.
Di qui alla pausa estiva, di
conseguenza, governo e maggioranza dovranno sforzarsi per fare il meno
possibile, evitando ogni terreno scivoloso. Poi, finita la stagione dei
bagni, arriverà il momento della resa dei conti. Si tratterà però di un
appuntamento al buio. Nessuno può prevedere oggi quanto rapidamente
procederà la decomposizione dei centristi, e quali effetti avrà sugli
equilibri parlamentari. Si può in compenso dire che il governo e la
maggioranza per come sono stati sinora non esistono più, e che Renzi si
avvia ad affrontare il referendum nel peggiore dei modi.